DI LUCIO GIORDANO
E dunque, alla fine, si scopre che l’attentatore di Munster era un tedesco , Jens R. di 48 anni, con problemi psichici e legato, pare, agli ambienti dell’estrema destra. Nel frattempo però, dalle 16 in poi di ieri, siti e telegiornali di tutto il mondo, senza soluzione di continuità, battono sulla pista dell’ attentato terroristico islamico, progettato nella tranquilla cittadina universitaria di 330 mila abitanti , nel nord ovest della Germania.
Immaginari plastici vengono spalmati davanti agli occhi dei telespettatori attoniti. Si raccontano anche le stragi analoghe di questi terribili due anni, si ricordano camion e furgoni tra la folla: a Berlino come a Nizza, come a Stoccolma. Identico il copione, identico il grido di battaglia, che qualche cronista riporta con convinzione. Allah Akbar, Dio è Grande. L’Isis ha colpito ancora, raccontano i giornalisti catapultati sul posto e quelli che da studio cercano di spargere odio gratuito verso l’islam, che è ben diverso dai folli combattenti del sedicente stato islamico ,secondo molti finanziati dagli Stati Uniti e dai paesi arabi, alleati degli americani.
Una, due, tre ore di diretta ininterrotta, con adrenalina a palate per coinvolgere meglio il telespettatore sbigottito. Poi la polizia tedesca inizia a rimettere insieme i pezzi del puzzle. Oltre alle due povere vittime del terrore e alle decine di feriti, si registra anche il suicidio dell’attentatore. Un tedesco, appunto. Pare legato ai gruppi neo nazisti, appunto. Solo allora cala il sipario e siti e telegiornali si ritirano in buon ordine e con la coda tra le gambe, interrompendo le dirette fiume. Scusate, ci siamo sbagliati, sembrano dire, ma non dicono per pudore, i media di tutto il mondo. Intanto, però, è stata versata altra benzina sul fuoco di questo scontro religioso, che scontro religioso non è, alimentato con cinica incoscienza da cronisti ingenui o in malafede.
Qualcuno, a quel punto, arriva a sostenere che non si sia trattato nemmeno di un attentato terroristico ma del folle gesto di una mente malata. Giusto. Ma allora, le cose sono due: o sono da considerare folli gesti anche quelli di Nizza, Berlino, Manchester, Macerata, artefice un candidato della Lega. Oppure Macerata, Manchester, Berlino, Nizza sono degli attentati . Dell’Isis o di menti instabili, poco importa. Intanto però, per tre ore e più la polpetta avvelenata è stata fatta mangiare ad una buona fetta dell’opinione pubblica occidentale. In soldoni: altro odio gratuito, altro desiderio di vendetta amplificato con machiavellica voluttà. La nobilissima professione giornalistica, nel frattempo, è andata per l’ennesima volta a farsi fottere.
Se ci pensate sarebbe bastato poco, in effetti, per fare un lavoro d’informazione corretto: fornire notizie con il contagocce e raccontare i fatti ad indagini concluse, senza andare a tentoni. In questo modo, invece, oltre a creare l’effetto emoluzione su menti deboli alla ricerca di un disperato e finale quarto d’ora di celebrità, si alimenta questo deprecabile clima da crociata religiosa. Utile a chissà chi. Nel frattempo, ad un oceano di distanza Lula, L’ex presidente operaio del Brasile, viene arrestato per una presunto reato di corruzione. Lula: che avrebbe stravinto le elezioni, e che secondo molti è stato bloccato da un golpe bianco. Stavolta, però, i media sono pigri, distratti. Poche righe irregimentate. In pochi sanno fare di conto: uno più uno uguale due. In pochi si spingono a fare una analisi lucida ed obiettiva della situazione. La finanza internazionale ha già scelto e Lula non deve tornare presidente del gigante sudamericano. Strategia perfetta per quanto riguarda Munster, un clamoroso autogol delle oligarchie finanziarie, per il Brasile. E comunque sia, no, non va bene. Se infatti continua a fare il cagnolino da compagnia dei poteri forti, il giornalismo è morto. Anzi, stramorto. Sappiatelo bene, cari colleghi.