CORONAVIRUS. IL GRIDO DI ALLARME DEI DATORI DI LAVORO PER LE RESPONSABILITÀ DA CONTAGIO

CORONAVIRUS. IL GRIDO DI ALLARME DEI DATORI DI LAVORO PER LE RESPONSABILITÀ DA CONTAGIO

Molte ditte e aziende durante la fase acuta della pandemia hanno osservato la chiusura per evitare il contagio. In moltissimi casi sono state privilegiate forme di lavoro cosiddetto ” agile” o più propriamente ” smart working”. Laddove produzione e attività non si sono potute fermare sono state prescritte norme di igiene e sanificazione dei locali e protocolli di comportamento degli operai ed impiegati con linee guida stabilite direttamente dal Governo. Nei luoghi di lavoro la tutela dell’ integrità del lavoratore spetta per legge al datore di lavoro. Lo prevede il codice civile e le trasgressioni sono sanzionate in sede civile e penale. Il Testo Unico sulla Salute e Sicurezza del lavoro è una legge risalente al 2008 e contiene tutta la normativa in materia anche con riguardo ad ipotesi di malattie infettive e parassitarie. Queste malattie sono ricoperte dall’ assicurazione obbligatoria Inail quando possono essere ricondotte all’ attività lavorativa. Anche, quindi, il Covid 19. Ed in tal senso è stato ritenuto dal Decreto Cura Italia e dai successivi DPCM che hanno previsto una serie di norme per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus. Spetta ai datori di lavoro predisporre misure atte a preservare la salute dei lavoratori , l’ igiene sul posto di lavoro , la sanificazione , la dotazione di mascherine, guanti, di erogatori di disinfettante e garantire il distanziamento sociale. È a cura del datore di lavoro il rilevamento della temperatura e la sorveglianza affinché vengano rispettate le direttive governative. Una serie di obblighi, quindi, ed adempimenti che rientrano nel grande onere del cosiddetto “dovere di vigilanza”. Se il datore di lavoro non ottempera a queste previsioni incorrerebbe , secondo la gravità degli effetti, in reati penali più o meno gravi. Se un dipendente contraesse il Coronavirus sul luogo di lavoro, infatti, il datore di lavoro, ove venisse riscontrato il legame fra contagio e luogo , incorrerebbe nel reato penale di lesioni più o meno gravi, perseguibili a querela della parte lesa o d’ ufficio, fino al caso limite dell’ omicidio colposo qualora il lavoratore decedesse a causa del virus. Su tutto e a costituire un’ aggravante dei delitti di cui sopra, il reato di inosservanza delle norme antinfortunistiche. In questi casi così come codificati si viene a configurare una sorta di responsabilità oggettiva perché il datore di lavoro incorre in una vera e propria ” culpa in vigilando” ( avrebbe dovuto vigilare affinché l’ evento dannoso sul luogo di lavoro non si verificasse). Con riferimento agli operatori sanitari in questo periodo di pandemia è stata predisposta una particolare procedura preferenziale. La circolare dell’Inail numero 30 del 2020 chiarisce che: “Nell’attuale situazione pandemica, l’ambito della tutela riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio, aggravato fino a diventare specifico. Per tali operatori vige, quindi, la presunzione semplice di origine professionale, considerata appunto la elevatissima probabilità che gli operatori sanitari vengano a contatto con il nuovo coronavirus. A una condizione di elevato rischio di contagio possono essere ricondotte anche altre attività lavorative che comportano il costante contatto con il pubblico/l’utenza. In via esemplificativa, ma non esaustiva, si indicano: lavoratori che operano in front-office, alla cassa, addetti alle vendite/banconisti, personale non sanitario operante all’interno degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizie, operatori del trasporto infermi, etc. Anche per tali figure vige il principio della presunzione semplice valido per gli operatori sanitari.Per tutti gli altri lavoratori, la copertura assicurativa è riconosciuta a condizione che la malattia sia stata contratta durante l’attività lavorativa stabilendo l’onere della prova a carico dell’assicurato” Tutti gli altri lavoratori, quindi, devono dimostrare con prove certe ed inequivocabili che hanno contratto il virus a causa del lavoro. Un eventuale contagio sul luogo di lavoro oltre alla configurazione dei reati di natura penale , fa scattare l’ obbligo, se dimostrato il nesso di collegamento fra malattia e luogo di lavoro, al risarcimento danni per un principio generale e cardine del nostro ordinamento giuridico:“Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno” ( art. 2043 codice civile) La situazione ha fatto scattare l’ allarme e molti imprenditori sono preoccupati per la riapertura e per le problematiche connesse alla prevenzione. I consulenti del lavoro hanno fatto sentire la loro voce chiedendo che, proprio per la particolare virulenza del Covid 19 si intavolino trattative con le parti sociali per arrivare a una disposizione normativa che tenga conto delle problematiche dei datori di lavoro esposti al rischio penale e risarcitorio in un momento in cui la ripresa economica appare lontana. Si auspica un giusto contemperamento fra le ragioni degli uni e degli altri, affinché un eventuale scudo delle responsabilità datoriali non si traduca in una lesione o in un rimaneggiamento dei diritti del lavoratore.