ATTACCO ALLA MODA ITALIANA , NEL NOME DEI DIRITTI, MA LA GENESI DEL MALE VIENE DA LONTANO

ATTACCO ALLA MODA ITALIANA , NEL NOME DEI DIRITTI, MA LA GENESI DEL MALE VIENE DA LONTANO

Altro che storie, qui non è questione di colore della pelle o genere, questo è sfruttamento, questo è caporalato, ma dietro c’è un mondo che deve essere considerato e tutelato in primo da quanti, come committenti, si rivolgono a certe aziende.Questo è quanto può emergere da una inchiesta del New York Times sul mondo della moda in Italia, un vero colpo basso, un attacco senza precedenti che però non può avere come risposta la rabbia stizzita o la negazione dei fatti. Il silenzio, il girarsi dall’altra parte non può certo aiutare la nostra economia, il particolare se copre le pratiche di illegalità che si nascondono, ma neppure più di tanto, alla vista dei controlli.Piuttosto l’emersione del nero, dello sfruttamento può contribuire a ridare slancio e fiducia di quanti negli anni stanno investendo in quella ricerca e sviluppo che possono essere insieme ad una visione etica del prodotto e del lavoro una strada irrinunciabile al proseguire delle attività Non è dello stesso parere il presidente della Camera della moda Carlo Capasa che chiudendo bruscamente il discorso, definisce “vergognosa e strumentale” un’inchiesta del New York Times che molto semplicemente è andata a scavare dove basta ben poco a vedere quello ch’è la realtà dei fattiUna constatazione che però in modo molto ipocrito si associa alle singole dichiarazioni delle grandi case, i grandi marchi, ma anche di quelli piccoli, che fanno finta di non sapere, di non conoscere.Un mondo fatto di ingiustizia e sfruttamento che gli imprenditori e le aziende sane hanno da confrontare e contrastare in una battaglia impari che cammina su costi e prezzi al limite dei centesimi.Prova n’è che le grandi case di moda, i grandi marchi sono loro stessi detentori dei saperi che permettono di conoscere ed indicare la genesi ed i costi di quella miriade di passaggi che portano alla formazione di quel manufatto che poi andranno a vendere. Non che tutto sia generalizzato ma scendendo nei dettagliadesso si parla delle ombre dell’economia italiana e della moda in particolare, per la quale – secondo il NYT – sono in molti a lavorare da casa, sottopagati e senza contratto, vale a dire in nero. Nell’inchiesta realizzata in Puglia, intitolata ‘Inside Italy’s Shadow Economy’ si racconta, con testimonianze anche anonime, il lavoro di migliaia di donne che ricevono dal laboratorio locale un euro per ogni metro di stoffa cucita o ricamano paillettes per 1.50-2 euro l’ora. Di questa manodopera si servirebbero grandi marchi attraverso il contoterzi. In particolare, si fanno i nomi di brand come Max Mara (che ha aperto la seconda giornata di Milano Moda Donna) e di Fendi (altro marchio in passerella). “Hanno attaccato questi marchi in maniera indegna – dice Capasa – per questo prepareremo una nota congiunta insieme agli avvocati”.I nomi però forse non hanno troppa importanza perché la risonanza copre solo un mondo che purtroppo è ben conosciuto e che salta agli occhi solo quando le vittime sono i migranti e non piuttosto fenomeni radicati. Da qualche anno esiste, per il tessile e la pelletteria, una campagna mondiale, Clean Clothes Campaing, con una sezione italiana – campagna Abiti Puliti – che lavora per la sensibilizzazione sui temi del salario dignitoso, la salute e la sicurezza, la trasparenza e il lavoro migranti, oltre a pressione verso imprese e governi. Ed ancora: “Replicheremo a New York Times in modo pesante” annuncia Capasa. E il motivo è che “siamo il Paese che ha fatto di più per questi diritti, il primo a perseguire gli abusi, non c’è nessuna connivenza delle aziende italiane perché non ne hanno bisogno, non abbiamo bisogno di sfruttare nessuno”. Secondo Capasa c’è un motivo per cui questo articolo è uscito oggi: “A Milano inizia la fashion Week con il green carpet, siamo bravi e questo dà fastidio”. Miuccia Prada risponde indirettamente “nessuno è sano ma ognuno fa del suo meglio, accanirsi solo con la moda è sbagliato. Tutte le aziende hanno codici e la moda ha le sue colpe, ma sono sicura che aziende di altri settori faranno anche peggio. Questo non è un mondo perfetto e siamo tutti colpevoli, i problemi – conclude – sono ovunque”.Ma sfruttamento nella realtà pugliese, non isolato per carità ma che vede coinvolta anche quella campana, ma anche quella cinese del pronto moda di fascia bassa, se però deve portare ad una emersione non distruttiva non può che partire da una denuncia ed un coinvolgimento delle case di confezione.Sono loro i committenti ben consapevoli di quello che hanno messo in motoUn coinvolgimento che di fronte allo scandalo della denuncia non può limitarsi ad abbandonare magari la Puglia, Prato o l’Italia.Non può portare allo spostarsi alla ricerca di nuovi sfruttati in un mondo globale dove vince solo chi spreme il lavoro umano puntando sul contesto del Paese dove le aziende operanoNon occorre certo fare appello alle grandi ricerche oppure alle grandi inchieste giornalistiche per vedere quello che succede attorno.I prezzi dei capi di moda esposti nelle vetrine parlano da soli e non solo per i grandi marchi.Le estremità di valore indicato sui cartellini sono esse stesse denuncia che qualche cosa, molto purtroppo, non funziona nell’economia globalizzata