DI SOLITUDINE SI MUORE

DI CLAUDIA SABAImmaginate di sentirvi soli, di esserlo ogni momento, ogni istante del giorno e della notte.Immaginate di trovarvi in casa al quinto piano di un palazzo, in uno di quei momenti in cui la mente corre senza fermarsi nemmeno per un attimo.Siete nel “mezzo del cammino della vostra vita”, senza un compagno o un figlio che possano rallegrare parte, della vostra solitudine.E arriva all’improvviso quell’attimo di lucidità in cui iniziate a sentirvi persi nel vuoto, nel nulla che pensate di esser diventati.Davanti a voi, l’unica strada che pensate di poter percorrere.I vostri passi sul corridoio e poi di corsa fuori, sul terrazzo della vostra casa. Vi fermate vicino al parapetto e guardate giù, nel vortice di quei cinque piani, così lontani dalla strada sotto di voi.Ma non avete il coraggio di lanciarvi, non ancora.La vita sembra chiamarvi da una parte mentre la solitudine vi aspetta dall’altra. È proprio dietro di voi che vi aspetta, come prima.E quel “prima”, vi appare impossibile da sostenere.Guardate ancora giù, le gambe vi tremano, il cuore batte tra pensieri che vanno all’impazzata.In fondo, basta un po’ di coraggio a darvi la spinta per cacciare via, tutta la tristezza che non vi dà tregua.Vi attardate tra i ricordi della vita trascorsa e la signora del terrazzo accanto, vi guarda con gli occhi sbarrati, senza chiamarvi.Prende il telefono e compone in fretta il numero del 118.Sono arrivati tuttiInsieme.Erano in fila lungo la strada, che nel frattempo avevano bloccato.Mi sono trovata, per caso, a passare sotto il suo terrazzo, proprio mentre i Viglili del fuoco lo tiravano giù con un carrello, trasportandolo poi nell’ambulanza che lo aspettava a pochi metri.Lucio, nome di fantasia, non ha mai avuto problemi economici. Benestante, medico, buona famiglia.Lui, che curava tutti gli altri, non era mai riuscito a curare la sua anima, da quell’abisso in cui era precipitata.Solitudine.Un male incurabile che invade il corpo e la mente, quasi come un cancro.Lucio lo incontravo ogni mattina al bar, alle otto precise.Faceva colazione sempre alla stessa ora e quasi mi scontravo con i suoi occhi spenti, mentre bevevo il mio primo caffè.Appena sorridevo, lui abbassava lo sguardo, mi diceva buongiorno, poi si voltava e andava via.Ho pensato che non lo incontravo da qualche giorno mentre lo guardavo disteso su quella barella bianca.È accaduto a Latinaquesto pomeriggio davanti ai miei occhi.Ma può accadere a chiunque.Come accade ogni giorno, in ogni città d’Italia e del mondo. Perché oggi, di solitudine, si muore.Quando si scontra con l’anima e attraversa il corpo.