IL SOGGIORNO A ROMA DEL PROF. STEVE BANNON

Distopico/53. Dopo tre mesi di soggiorno a Roma il prof. Steve Bannon cominciò a rendersi conto che qualcosa gli sfuggiva. E’ vero, l’accoglienza era sempre spettacolare, applausi ovunque, tassinari che inchiodavano per caricarlo appena agitava il braccio: “Questa sì è antica civiltà – pensava – altro che Washington dove ti mettono sotto”. Nei bar c’era sempre la corsa a servirlo: “Prego, dica, ecco la brioche migliore”. Nei ristoranti in centro, accoglienza da re. Certo, il costo della vita era altissimo: 200 euro per un chilometro di strada, venti euro in media per cappuccino e cornetto, cinquanta per un’amatriciana senza ricevuta. “Eh, professò, sèmo messi male” gli rispondevano quando avanzava riserve. “So’ le plutogiudocrazie europee che c’hanno rovinato, come dice sempre lei”. Il professore annuiva, lieto di raccogliere gli sfoghi accorati del popolo vessato, e tuttavia – come dire – c’era una pulce, un tarlo, un quid che non tornava. “Sarà il gap culturale”, si ripeteva, calcolando se poteva ancora permettersi un aperitivo al tavolo.