CAOS AUTONOMIA: IL NO DEI VESCOVI CALABRESI: “ACCRESCE LE DISPARITÀ FRA GLI ITALIANI”

…IL PAESE SI MUOVE CONTRO I SECESSIONISTI DEL NORD Si esprime la Conferenza episcopale calabrese, contro l’Autonomia in salsa leghista, che rende “costituzionale” la distinzione fra italiani di serie A e di serie B; e forte è il richiamo dei vescovi, perché la politica e il governo lavorino per ridurre le differenze (ovvero il contrario di quello cui mirano i secessionisti). Ecco cosa scrivono:“I Pastori delle Chiese particolari calabresi hanno manifestato una profonda preoccupazione per i processi di “regionalismo differenziato” in atto: forte è il timore che alla legittima autonomia dei territori si possa pervenire ad incrinare il principio intangibile dell’unità dello Stato e della solidarietà, generando dinamiche che andrebbero ad accrescere il forte divario già esistente tra le diverse aree del Paese, in particolare tra il Sud ed il Nord. Da qui l’auspicio di una più serena riflessione sulla questione non solo della politica, ma anche delle Università, nell’ottica di una prospettiva di sviluppo unitario che riduca le storiche differenze consolidatesi nel tempo”. Una presa di posizione forte e chiara, che arriva poche ore dopo il documento del Consiglio regionale calabrese contro la secessione dei ricchi (addirittura una “diffida” al governo, che prelude a un ricorso alla Corte Costituzionale); e poche ore prima della lettera del sindaco Milano che è un siluro inatteso e devastante contro l’Autonomia differenziata che, scopre ora Sala, danneggerebbe il potere e l’autonomia dei sindaci.Un fuoco incrociato contro il governo e i partiti, inclusi quelli all’opposizione. Per il governo è una mazzata storica: Salvini si trova incalzato dai suoi compari delle Regioni secessioniste, che hanno dato per scontato troppo presto la conquista e la fuga con il malloppo, alla faccia dei terun de merda; il più esposto di tutti è il presidente veneto Luca Zaia, che su questo si sta giocando tutto. Già quando, il 22 ottobre scorso, l’Autonomia fallì l’appuntamento che i furbastri si erano dati (il M5S, pur in ritardo, chiedeva garanzie; quindi, almeno questa carta se l’è giocata bene: il minimo!) e quando si cominciarono a porre distinguo, paletti, troppe domande “per chiarire”…, il gradimento elettorale per la Lega fece registrare uno spronfondo dell’8 per cento in Veneto (praticamente quanto Forza Italia) e del 3 per cento in Lombardia. E si trattava della delusione, perché non subito, ma fra poco. Figuratevi dinanzi a un flop di fatto: prima si stabilisca il costo dei Lep, il livello essenziale delle prestazioni da garantire a tutti i cittadini italiani (scuola, trasporti, sanità…), poi l’Autonomia. Perché se passa che tutti gli italiani vanno trattati alla stessa maniera (sì, sta scritto nella Costituzione, ma non significa niente, come abbiamo visto), a lorsignori l’Autonomia non conviene più: a loro non fotte niente dell’equità, mirano solo a svuotare la cassa. E se devi finanziare diritti pari per tutti, ricchi e poveri, in cassa non rimane niente da rubare.Una disastro del genere dovrebbe portare Salvini e Zaia allo scontro finale. Lo scroccone di giubbotti pagati dagli italiani mira a sostituire Zaia con uno dei suoi. Ma Zaia ha con sé buona parte dei veneti (pur se, in quello che hanno pomposamente chiamato “plebiscito”, solo uno su due ha votato sì all’Autonomia) e una spinta indipendentista più forte che nelle altre regioni del Nord. Quindi, come va davvero a finire potrebbe essere una sorpresa. Nel M5S, ha forti maldipancia, e non li nasconde, una fetta sempre più corposa degli eletti a Sud che aveva sottovalutato (come tutto il Movimento, meno quattro-cinque) la portata dirompente dell’Autonomia contro il Mezzogiorno. Lo stesso Di Maio ci arrivò in ritardo e ora non si capisce se sappia o meno quali pesci prendere e se li vuol prendere; di sicuro sa quali rischi corre, incluso un disgregarsi di parti non trascurabili dei Movimento a Sud; in più gli tocca decidere in fretta, perché il 15 febbraio, data dell’Autonomia, è domani; il bottino di voti è in calo e in parte già dilapidato in contratti con la Lega e con i nuovi padroni dell’Ilva di Taranto, l’ok alla vituperata Tap, la possibilità di abbattimento degli ulivi pugliesi, i tentennamenti sul Muos; e la sua posizione personale è sempre meno solida. Non può sbagliare un’altra decisione o è pronto il rimpiazzo (che non garantisce il recuperto di credibilità del M5S fra i suoi elettori persi). Ma, paradossalmente, il petardo più grosso scoppia in casa del Pd. Il partito rottamato da Renzi, con la fattiva complicità dei rottamati, è quello che si è sputtanato più di tutti sull’Autonomia differenziata: da una parte, i consiglieri regionali di Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna, rovesciando palate di porcheria sulla storia del loro partito, hanno chiesto con un documento unitario, che il Pd appoggi la Lega e i secessionisti (“piddini per Salvini”: non so con che faccia lo racconterranno ai nipoti. Ma anche ai vicini di casa oggi!); dall’altra, i dirigenti Pd del Sud hanno ingoiato e taciuto, inutilmente sollecitati dai loro concittadini ed elettori, e fingendo di non vederne il disgusto. Gli stessi presidenti di Regione si sono distratti, mentre i loro compagni di partito trescavano con la Lega per la spoliazione finale dei meridionali. Anche loro, fra vicini e nipoti… Ci vogliono facce di ricambio. Poi, il presidente della Campania, Vincenzo De Luca, che era parso autonomista possibilista, si dice contrario. Un segno di vita del Pd del Sud, meglio di niente. Quando, ecco, da parte della Regione peggio messa, con un presidente che deve chiedere al giudice il permesso di andare a presiedere il Consiglio, arriva la bomba: la diffida al governo, contro l’Autonomia, la richiesta non trattabile di “prima i Lep” e di risistemare il famigerato titolo V della Costituzione, la cui scellerata riforma, fatta da gente senza testa e senza ritegno, ha aperto la via a tutti questi danni (una riforma della Costituzione di dubbia costituzionalità, ma non si deve dire). E dopo cotanta botta da parte di un Pd del Sud, il sindaco messo dal Pd a Milano, Giuseppe Sala, che sull’Autonomia si era pronunciato a favore, scopre distinguo, e ne fa strame. Quindi qual è ora la posizione del Pd sulla faccenda?Ma un po’ di malizia serve, quando si analizzano fatti politici: cosa significa questa mossa di Sala? Voi ci credete che uno come lui, che si muove solo quando ha le spalle garantite (ricordatevi le richieste per candidarsi sindaco), faccia qualcosa del genere di sua iniziative? Io no. E analizzate il valore politico della sua uscita: quello che le Regioni secessioniste fanno allo Stato centrale (voglio gestire da sola, perché tu non vai bene), lui lo fa all’idea di Autonomia di quelle Regioni (voglio gestire da solo, perché così si legano le mani ai Comuni più che lo Stato centrale). La stessa strategia pari pari applicata a un gradino istituzionale più basso.Se altri sindaci seguiranno la stessa strada, dovremmo aver un buon indizio del fatto che è una strategia ampia e non una iniziativa solitaria di Sala. Non ci vorrà molto.L’Autonomia sta rimescolando tutto: governo, opposizione, partiti e il Paese intero. Nel momento peggiore degli ultimi decenni, in Italia e nel mondo. Beh, ma che bravi tutti noi!