I VERDI E IL CODICE KLEENEX

I verdi e il codice kleenex.Ieri su La Repubblica. Il dato del voto italiano è netto: il Verde non abita qui. Eppure, venerdì scorso, nel chiasso e nel calore, si fa per dire, degli ultimi fuochi elettorali, si sono svolte in Italia – nel silenzio dei media – oltre 100 manifestazioni (piccole e grandi) nel nome dei “fridays for future” promossi da Greta Thunberg. A distanza di 48 ore la lista Europa Verde ha ottenuto il 2,3 % dei voti. Un risultato esilissimo. E tuttavia, rispetto alle previsioni infauste, accresciuto proprio grazie a una parte di quei giovani scesi in piazza due giorni prima. Rispetto, invece, alle performance dei Verdi in Francia (13,5%), Irlanda (18%), Germania (20,5 %), Austria (14 %) e Finlandia (16%), il consenso italiano appare assai magro, come peraltro nel resto dell’Europa Meridionale. E, così, il nostro Paese – tra i più disastrati sotto il profilo ambientale – sembra non possedere alcuna coscienza di sé, della propria vulnerabilità e della propria finitezza. Termine che non va inteso in senso filosofico, bensì terribilmente concreto e materiale: un intero sistema prossimo al collasso. Se i risultati del voto Verde confermano questa “incoscienza”, quali le cause? Per rispondere, in genere la si prende alla lontana e si ricorda la mancata riforma protestante, che non avrebbe introdotto nel carattere nazionale il connotato della responsabilità verso sé, verso gli altri e verso il futuro. Né il senso del dovere e della coerenza, né la capacità di autolimitazione e di rigore, che costituiscono l’essenza dello spirito civico individuale e collettivo. L’esito, in ultima istanza, è che “nella nostra cultura nazionale l’attenzione all’ambiente è incomparabilmente inferiore rispetto a quella dei paesi del nord” (Piero Ignazi, Repubblica di mercoledì scorso). Questo deficit si ritrova nell’aneddoto (allo stesso tempo, luogo comune e paradigma) del Kleenex che, lasciato cadere per terra, suscita al più una tacita riprovazione in una città italiana e, invece, scandalo, multa e magari arresto in una località del centro o del nord Europa. È significativo: i tratti culturali e perfino antropologici della comune identità spiegano molto dei nostri comportamenti quotidiani e, infine, dei nostri orientamenti politici. Questo a prescindere dall’indubbia crescita della sensibilità ambientalista anche in Italia. È una storia vecchia. Nel 1985, alle elezioni amministrative, pur presenti solo in otto regioni, i Verdi ottengono il 2,5%. A distanza di pochi mesi, nell’aprile del 1986, si verifica l’esplosione nella centrale nucleare di Chernobyl. Questo evento, così drammaticamente evocativo dei temi “verdi”, incrementa di 0,1 la percentuale elettorale conseguita appena quattordici mesi dopo (politiche del 1987). Ma poi, nel novembre dello stesso anno, l’80,6% degli italiani approva il referendum abrogativo del nucleare. Si manifestava così uno scarto profondissimo tra sentimento e opinione, da una parte, e scelta di voto, dall’altra: cioè la difficoltà di tradurre l’adesione emotivo-culturale a battaglie condivise in partecipazione politico-organizzativa, e di trasferirla nell’urna elettorale. Scarto che, nei decenni successivi, non verrà mai colmato e nemmeno ridotto. A ciò va aggiunto il limite rappresentato dall’esiguità dello spazio politico e dal sovrapporsi delle offerte elettorali. Basti pensare a come le questioni di diritto e di libertà, affrontate in Germania e in Francia principalmente dai Verdi, nel nostro paese risultino “contese” tra questi ultimi, i Radicali e settori della Sinistra tradizionale e di quella estrema. Insomma, in Italia, gran parte dei cittadini, che pure condividono gli obiettivi dei Verdi, hanno ritenuto di premiare altre formazioni, considerate più efficaci anche sul piano ambientale.Quanto appena detto, si lega strettamente a quella che è forse la considerazione più importante. Sono convinto che i Verdi di altri paesi avrebbero saputo gestire in modo diverso i dossier Ilva e Tav, arrivando a una forma di compromesso accettabile per un partito di minoranza. Infatti, il tratto saliente dei Verdi tedeschi è stato sempre la sagacia politica: la radicalità dell’analisi e degli stili di vita conseguenti non hanno mai fatto velo al realismo politico. Un’idea mai meschina del pragmatismo e una sofisticata intelligenza nella mediazione. Esemplare in tal senso la gestione della controversia sul nucleare. L’ambientalismo politico italiano non ha saputo fare questo, incerto tra un radicalismo senza negoziazione e un riformismo localistico, incapace di visioni generali. Nonostante l’ambientalismo scientifico continui a produrre importanti contributi in materia di sviluppo sostenibile. Ovvero, quanto dichiarato da Francesco Rutelli a Repubblica: “l’economia green porta posti di lavoro stabili e duraturi”. Da qui, per chi lo voglia, si può ricominciare.