BURKINA FASO. A PROPOSITO DEI RAPIMENTI DI LUCA TACCHETTO E DI EDITH BLAIS

BURKINA FASO. A PROPOSITO DEI RAPIMENTI DI LUCA TACCHETTO E DI EDITH BLAIS

Punto su Burkina Faso e rapimenti.l contagio ha valicato da tempo i confini del Burkina Faso, le spinte estremiste che infiammano il gigantesco Sahel si sono saldate con gruppi all’interno mentre nuclei di predoni – pur continuando nelle loro incursioni da razziatori – hanno verniciato, talvolta, le loro azioni con una mano di jihadismo. Il paese è diventato simile ad altri, un incrocio pericoloso, dove avventurarsi può costare la libertà o anche la vita.Pochi giorni fa, il 15, Kirk Woodman, ingegnere canadese impiegato in una miniera del Nord, è stato assassinato, delitto che ha seguito il mistero dell’italiano Luca Tacchetto e della sua amica Edith Blais, anche lei canadese. Storia che non ha sorpreso gli esperti che da mesi indicano la tendenza profonda, con gli allarmi sulla minaccia che si è diffusa sulle canne dei Kalashnikov, rubati dall’infinito arsenale di Gheddafi dopo la rivolta oppure forniti dai contrabbandieri «di tutto».Ad aggravare un fenomeno già visto – in Mali, Niger, Nigeria – c’è stata la combinazione della penetrazione «radicale»e la crisi politica innescata dalla fine del regno del presidente Blaise Compaorè, al potere dall’87 e costretto alle dimissioni alle proteste popolari.L’epilogo di questa stagione è stato accompagnato dagli attacchi delle formazioni ultra-integraliste, compresa la strage all’Hotel Splendid del gennaio 2016, sangue versato come in altre capitali della regione dove hanno preso di mira i luoghi frequentati da turisti.Al Qaeda nella terra del Magreb ha provato ad allargare gli spazi e il 18 settembre i qaedisti hanno ribadito, ufficialmente, la loro presenza. Per alcuni una mossa per distinguersi da un altro movimento importante, ossia Jamaa’t Nusrat al Islam wal Muslimin (JNIM), cartello che riunisce anime diverse, differenze ideologiche oppure connesse a dinamiche puramente locali. Poi ancora i militanti del Fronte di Macina e – non potevano mancare – i seguaci del Califfato, lo Stato Islamico del Grande Sahara. Sono in tanti sulla lista dei sospetti. Scuotono il Burkina, lo puniscono per il suo appoggio alla Francia che dispone qui di soldati, aggiungono instabilità in un arco geografico esteso dove agiscono consiglieri statunitensi e che taglia a metà il continente come fosse una trincea. Sul terreno il fermento islamista, unito al banditismo, è stato marcato da una lunga serie di agguati, finti posti di blocco, eliminazioni. Una striscia di episodi raccolta nei database dei ricercatori, ma quasi ignorata fintanto che non ha coinvolto degli stranieri. Catturare un europeo, per i guerriglieri, ha un doppio valore: è una sfida per dimostrare le proprie capacità, diventa una fonte di autofinanziamento quando si riesce ad ottenere un riscatto.La strategia ruota attorno a dei perni fondamentali. I mujaheddin vogliono accrescere il senso di insicurezza, sfruttano i grossi problemi logistici di forze militari costrette sempre a inseguire, taglieggiano e creano canali illegali per avere risorse. Ecco i possibili rapimenti, pratica che al Qaeda ha adottato da anni nel Sahel mettendo insieme un bottino di dozzine di milioni di euro. Quasi tutti i governi occidentali alla fine hanno ceduto al ricatto per strappare i loro cittadini dalle mani di tagliagole e in questo l’Italia non si è mai tirata indietro. Politica che insieme alla scelta di coloro che viaggiano in questa ginepraio- per lavoro o per desiderio – finisce per alimentare il bazar degli ostaggi. Un banchetto al quale si siedono terroristi e briganti, uomini in concorrenza ma anche complici quando serve. Vale in Siria, vale in Somalia, vale lungo le piste africane.