FRATERNITA’

I nemici del socialismo (e, già che ci siamo, della sinistra in genere) danno per scontata la sua scomparsa. E se, come diceva, Dostojevskji, “Dio è morto, tutto è possibile”, traggono da questa dichiarazione di morte presunta, l’autorizzazione per costruire, in sua assenza, un mondo a loro immagine e somiglianza.I socialisti, definendo per tali quelli che ne portano l’etichetta, ritengono, più ottimisticamente, che sia dormiente o momentaneamente debilitato; e che basti qualche piccolo accorgimento per risvegliarlo o ridargli la salute perduta. Accorgimenti, però, tutti verbali: appelli, convegni anche programmatici ripetizioni ossessive del nome e invocazioni degli uomini del passato e dei torti subiti nel medesimo. Nessun fatto, nessuna iniziativa esterna, nessun collegamento col mondo reale; un mondo che ci ignora ma che noi, follia autoreferenziale assoluta, ricambiamo di eguale moneta (se gli altri ci ignorano vuol dire che sono brutti, sporchi e cattivi e che, di conseguenza, siamo i migliori).Scrivo queste righe con rabbia e con dolore. E ben consapevole che, almeno qui da noi, i socialisti sono il problema e non la soluzione. Anche perché continuano a pensare che le sorti del socialismo dipendono da loro (da noi, da voi, da me).Eppure le sue ragioni sono sotto i nostri occhi. E non sono solo oggettive: la barbarie complessiva del mondo che ci circonda, in assenza di una forza politica in grado di contrastarla. Ma anche soggettive e cioè presenti nei cuori e nelle menti degli uomini in carne ed ossa; e nel vangelo cui inconsapevolmente fanno riferimento. E non come prescrizione, dottrina che cali dall’alto ma come esigenza e regola di vita.E qui faccio riferimento, con l’emozione e il rispetto che le sono dovuti al terzo elemento del grande messaggio tramandatoci dalla rivoluzione francese: la fraternità. Quello che, per inciso, abbiamo costantemente messo da parte ma che rimane, nonostante tutto, cardine essenziale del futuro del socialismo.Fraternità non è quella, potenzialmente esclusiva e, in definitiva, settaria di quanti abbiano la stessa opinione o abbiano vissuto le stesse esperienze. E’ più semplicemente la convinzione che nessuno può salvarsi da solo. E cioè che la possibilità di garantir agli individui una esistenza degna di questo nome vale solo se è assicurata agli altri; e se si lavora tutti insieme, per costruire un mondo che la garantisca. E’ quello che intendeva Marx quando diceva che il riscatto dei lavoratori doveva essere opera dei lavoratori stessi. E’ quello che ripetevano i canti delle mondine, più di un secolo fa: “la libertà non c’è se non c’è l’unione”. E’ quello che sta crescendo, giorno dopo giorno, in Italia e nel mondo, al di qua e al di là dell’oceano, spontaneamente e al di fuori dei partiti e delle iniziative dall’alto.Sono, ebbene sì, i gilet gialli (decine di migliaia di persone che scoprono la loro “fraternità” intorno ad un disagio collettivo e con obbiettivi “di sinistra”); sono le associazioni di democrazia civica, sono i sindacati che stanno riscoprendo il loro protagonismo; sono i movimenti politici che contestano il disordine esistente ma che hanno, proprio per questo, necessità di recuperare una dimensione internazionale e internazionalista da noi frettolosamente abbandonata, nella consapevolezza che non c’è riscatto possibile, a livello locale e nazionale, senza un ordine mondiale che lo garantisca e lo sostenga.Tanti fili d’erba che crescono, tra mille difficoltà ma con forza irresistibile. Insieme possono rappresentare il socialismo del ventunesimo secolo. Un socialismo che appartiene a tutti; e che nessuno può avere la pretesa di rappresentare da solo e men che meno di ricostruire da solo, settaria.Non sarà facile. Ci attende una lotta lunga e dura. Anche perché in totale contrasto con un mondo che garantisce tutto all’individuo consumatore; e poco o nulla alla collettività e alla democrazia. Ma, dopo tutto, il socialismo o è antagonista o non è.