C’È UN PAESE IN DECLINO

C’È UN PAESE IN DECLINO

C’è dunque un Paese in declino, vittima consapevole di più crisi che si sommano. Vittima di fragilità e dell’incapacità di non riconoscere alla politica il valore, il ruolo, della costruzione di una società consapevole del tempo che guarda al futuro.E se la politica è solo ad appannaggio del comandate di turno, quando questo è solo autoreferenziale a se stesso, diventa impotente.Diventa luogo di scaramucce che non portano a niente.E la società ne soffre.Ecco così prevalere le paure, il clima di abbandono, di odio che fanno chiudere in se stessi.Vincono le indifferenzeEcco prevalere il proprio interesse che arriva addirittura ad escludere anche la cerchia dei propri cari.Ecco la resa incondizionata. Ecco l’alibi delle crisi che bloccano l’economia ma soprattutto la voglia di sperare in un mondo migliore.In un futuro che va oltre la propria esistenza.Ecco le crisi che portano ad affidarsi ad una sorta di eutanasia di una società che si vede in un vicolo cieco Ad evidenziare questa inconsapevole deriva anche la situazione demografica del nostro Paese. Anche in questo caso prevale la parola recessione.Un fatto non nuovo, non improvviso che sta colpendo l’Italia, ormai da più di un decennio.I dati fatti emergere dal rapporto Istat appaiono evidenti e significativi.C’è in sostanza “un vero e proprio calo numerico di cui si ha memoria nella storia d’Italia solo risalendo al lontano biennio 1917-1918, un’epoca segnata dalla prima guerra Mondiale e dai successivi drammatici effetti dell’epidemia di ‘spagnola’”.Per trovare una situazione comparabile occorrerebbe dunque tornare indietro di circa un secolo.Sì, perché ci fanno sapere che:“Secondo i dati provvisori relativi al 2018 sono stati iscritti in anagrafe per nascita oltre 439 mila bambini, quasi 140 mila in meno rispetto al 2008”.Lo evidenzia l’Istat nel Rapporto annuale, parlando del “declino demografico” o “recessione demografica” che sta colpendo l’Italia. D’altra parte il 45% delle donne tra i 18 e i 49 anni, qui i dati si fermano al 2016, non hanno ancora avuto figli. Ma coloro che dichiarano che l’avere figli non rientra nel proprio progetto di vita sono meno del 5%. È vero c’è una crisi economica strisciante ma non può bastare questo a giustificare la fuga dalle culle. Ma non può bastare questa dichiarazione “Se fino al secolo scorso la componente demografica ha mostrato segnali di vitalità e ha spesso fornito un impulso alla crescita del Paese anche sul piano economico, oggi potrebbe svolgere, al contrario, un effetto frenante”, ha aggiunto il responsabile dell’Istat, Blangiardo, “Viene da chiedersi se siamo un popolo che guarda avanti e investe sul suo futuro o se invece dobbiamo perlopiù sentirci destinati a gestire il presente”. Insomma la questione demografica c’è e mette il Paese davanti ad una realtà che dovrebbe far riflettere. Si perché a salvare il futuro demografico del Paese sono i migranti.Sono loro malgrado il clima del Paese che possono attutire il calo demografico. “Il saldo migratorio con l’estero, positivo da oltre 40 anni, ha limitato gli effetti del calo demografico”: nel 2018 si stima un saldo positivo di oltre 190 mila unità. Lo rileva l’Istat nel Rapporto annuale. I cittadini stranieri residenti in Italia al gennaio 2019 sono di 5,2 milioni (l’8,7% della popolazione). I minori di seconda generazione sono 1 milione e 316 mila, pari al 13% della popolazione minorenne; di questi, il 75% è nato in Italia (991 mila).Saranno dunque loro a salvare il futuro demografico di un Paese ma ecco che emergono quelle evidenze che ci fanno domandare quanto possa essere utile il clima di odio o paure che si fomenta quotidianamenteE quanto invece sarebbe utile per il destino della nazione alimentare un cammino di interazione ed inclusione.Di formazione piuttosto che muri e barricate.Di quanto sarebbe utile incanalare gli sforzi piuttosto che ratificare strumentalmente quello ch’è lo stato dei fatti, quello che constatiamo ogni momento se solo volessimo vedere con occhio disincantato quello che sono per esempi le composizioni delle classi nelle aule delle scuoleMa nn è solo questo aspetto.I nostri giovani, complici noi genitori, escono dalla famiglia sempre più tardi sperimentando percorsi di vita “meno lineari del passato”, che spostano in avanti le tappe di transizione allo stato adulto. Anche questo ci ricorda l’Istat, spiegando che più della metà de 20-34enni (5,5 milioni), celibi e nubili, vive con almeno un genitore.E poi ci sono quanti preferiscono andarsene, chi direttamente espatria. Il saldo migratorio con l’estero degli italiani è negativo dal 2008 e ha prodotto una perdita netta di circa 420 mila residenti. Circa la metà (208 mila) è costituita da 20-34enni. E quasi due su tre hanno un’istruzione medio-alta.In tutto questo gli italiani invecchiano più tardi. l processo di invecchiamento è “caratterizzato da un’evoluzione positiva”: tra gli over65 “si osserva una maggiore diffusione di stili di vita e abitudini salutari”. Lo rileva l’Istat. Aumenta la pratica di sport, dall’8,6% del 2008 al 12,4% del 2018. Anche la partecipazione culturale (cinema o teatro) cresce. Se si dovesse confermare la tendenza, le generazioni del baby boom, che avranno beneficiato di migliori condizioni, “diventeranno ‘anziane’ sempre più tardi”. Intanto aumentano i ‘grandi anziani’: a inizio 2019 gli over85 sono circa 2,2 milioni. “L’Italia, insieme alla Francia, detiene il record europeo del numero di ultracentenari, quasi 15 mila”. In generale, fa sapere l’Istat, “nel 2018 si stima che gli uomini possano contare su una vita media di 80,8 anni e le donne di 85,2 anni. Nel tempo i vantaggi di sopravvivenza delle donne rispetto agli uomini si sono ridotti”. Secondo il Rapporto “a livello mondiale l’Italia contende al Giappone il record di invecchiamento: 165 persone di 65 anni e più ogni 100 giovani con meno di 15 anni per l’Italia e 210 per il Giappone, al primo gennaio 2017”.Fatti positivi chiaramente ma che denotano quanto questo invecchiamento si ripercuota sul clima sociale e sulla volontà di crescere ed aspirare ad un futuro migliore e moderno. Intanto, in questo quadro diventa sempre più concreto il rischio che il Prodotto interno lordo torni a calare. A dirlo è la stessa l’Istat, in occasione del Rapporto annuale. L’Istituto ha infatti presentato una nuova stima, secondo cui “la probabilità di contrazione del Pil nel secondo trimestre è relativamente elevata”.Ma di questo la politica, quella di cui ci sarebbe bisogno, bada bene di parlare.Meglio evitare, meglio distrarre, meglio fare proclami e tenere in piedi altre paure