IL RAZZISMO DEL CRETINO

Domenica scorsa, durante una trasmissione sportiva dell’emittente Telelombardia, l’autorevole “opinionista”,Luciano Passirani, a proposito del giocatore dell’Inter Romelu Lukaku ha detto:“Questi qua hanno qualcosa in più: questo nell’uno contro uno ti uccide, o c’hai 10 banane qui per mangiare che gliele dai, altrimenti…”.La frase solleva un profondo dilemma, come dire, di natura filosofica e antropologica: chi l’ha pronunciata è un razzista o un cretino?La risposta più convincente, è che si tratti, né più né meno, che di un cretino razzista.A confermarlo è proprio l’attenuante addotta da Passirani, dopo aver presentato le proprie scuse: “da 17 anni ho una compagna marocchina. Mio figlio ha sposato una donna africana ed è padre (quindi io sono nonno) di due bambine nere».Sempre, chi fa affermazioni ostili nei confronti di una etnia o di una minoranza, ricorre – al fine di negare, o per lo meno attenuare, la gravità di quanto detto – a quella strategia discorsiva: “io omofobo? Ma se ho tanti amici froci!”. Una simile procedura retorica viene utilizzata come ricorrente contrappunto dialettico delle dichiarazioni che stigmatizzano o discriminano: e la seconda affermazione (“ho tanti amici…”) vorrebbe disinnescare il senso di precedenti parole e atti riprovevoli. Peraltro quel “questi qua hanno qualcosa in più…” è, nelle intenzioni, un apprezzamento che nasconde tuttavia lo stesso pregiudizio celato nella frase “gli africani hanno il ritmo nel sangue” o “gli ebrei sono tutti intelligenti”. Qui il giudizio, anche il più positivo, si basa su un’idea monolitica e gerarchica delle etnie e delle confessioni religiose.Ma è giusto caricare di una responsabilità tanto pesante quel Passirani che, alla resa dei conti, risulta addirittura simpatico nella sua drammatica goffaggine? L’universo del calcio, si sa, esprime allo stesso tempo il sublime e il sordido, e, dunque, ci parla mirabilmente di noi. Chi segue le cronache calcistiche dalle radio locali, vi trova un mondo, la cui dimensione emotiva ed espressiva condiziona in profondità le idee, le relazioni tra individui e gruppi e i sentimenti collettivi. Di conseguenza, definire “cretino” chi fa affermazioni razziste o chi si rifiuta di affittare casa a un meridionale, e pensare così di liquidare il problema, è un errore grave. Ora, questo argomento- è un cretino- è correntemente usato dai commentatori di destra per ridimensionare e banalizzare le parole e gli atti di intolleranza etnica. E lo fanno in polemica con la sinistra che, a loro dire, parlerebbe di “un’Italia razzista” o sul punto di diventarlo. Ma che scemenza. Ovviamente l’Italia non è un paese razzista. E già porre la questione in questi termini (gli italiani sono razzisti? Verona o Macerata sono razziste?), contiene una tonalità sottilmente razzistica, perché presuppone che un’intera comunità (nazione o città) possa essere omologata a una parte più o meno grande dei propri membri. Dunque, l’Italia non è affatto un paese razzista, pur se aumenta il numero dei razzisti e degli atti di razzismo. Ciò che deve preoccupare, è, piuttosto, la crescita della xenofobia, ovvero un atteggiamento, connaturato allo sviluppo della civiltà umana, di diffidenza verso lo sconosciuto, l’ignoto, lo straniero. La xenofobia non è destinata, né fatalmente, né rapidamente, a tradursi in aggressività e violenza etnica. Ma perché ciò non accada, è necessario operare in quella zona grigia, tra xenofobia e razzismo, dove il sentimento di insicurezza può diventare volontà di esclusione e di sopraffazione del diverso. Finora, in quella zona grigia, hanno operato solo gli imprenditori politici della paura; la buona politica è stata pavida, o retoricamente solidaristica. Torniamo al razzismo dei cretini. Esso non è né insignificante, né innocuo. Intanto perché esprime una tendenza del linguaggio che corrisponde a una rilassatezza del giudizio morale e a una decadenza delle relazioni sociali. E poi perché discende direttamente dalla crisi del tabù del razzismo e dall’abbrutimento del discorso pubblico. Se Roberto Calderoli afferma che le sembianze di Cecile Kyenge gli ricordano gli ricordano quelle di un orango tango e viene “assolto” dal Senato della Repubblica, perché mai dovrebbe funzionare la capacità di autocontrollo nelle conversazioni e nelle controversie pubbliche?Se in Italia e in Europa si utilizza ancora il termine “ebreo” come un insulto, senza che vi sia un’adeguata risposta, come si può contrastare quell’avvelenamento del senso comune, dove l’antisemitismo popolare e clericale incontra il complottismo paranoico dei nuovi e dei vecchi fascismi?