LA STRAGE DI CASTEL VOLTURNO: MASSACRATI PER DARE UNA LEZIONE

Oggi ricordiamo quel 18 settembre 2008 quando un commando appartenente ai clan Casal di Principe assassinò sei giovani migranti di origine africana. Nessuno di di loro aveva colpe, nessuno di loro si era macchiato di qualche reato se non quello di voler vivere dignitosamente.Un massacro vergognoso. Quella sera un gruppo di Casalesi guidati dal boss Giuseppe Setola, armati di kalashnikov e pistole e travestiti da carabinieri, arrivarono, in auto, davanti all’”Ob Ob Exotic Fashions”, una sartoria gestita da migranti africani nel territorio di Castel Volturno, in provincia di Caserta.Sembrava un semplice controllo e nessuno di quei giovani sembrò preoccupato.Non avevano di che preoccuparsi.Ma i camorristi dovevano eseguire la loro missione che prevedeva una lezione esemplare.Non importava ci fossero colpevoli veri o presunti.Cominciarono a sparare all’impazzata con quattro pistole, due kalashnikov e una mitragliatrice.Si scoprirà dopo che la strage sarebbe stata motivata dal fatto che alcuni nigeriani avevano deciso di gestire in proprio il traffico di droga senza più sottostare alle regole imposte dal clan.Quei neri avevano fatto un atto di ribellione irresponsabile.Un atto che non poteva essere certo accettato dai clan ai quali bastava colpire solo il colore della pelle.Il commando, andò casualmente in quel negozio, sparò senza distinguere e quel fuoco non doveva lasciare superstiti. Le sei vittime morirono solo per essersi trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato.Poco importava se avessero colpe o meno, la lezione doveva essere terribile ed evidente.La sollevazione dei tanti migranti, di quegli sfruttati del territorio che avvenne nelle ore successive servi a svegliare il territorio ed il Paese che altrimenti avrebbe dimenticato troppo in fretta. E la Giustizia fece il suo dovere. Anni dopo, ed infine nel gennaio del 2014, vengono condannati in via definitiva all’ergastolo il boss dei Casalesi Giuseppe Setola, mandante ed esecutore materiale, Davide Granato, Alessandro Cirillo e Giovanni Letizia. Per un quinto uomo, Antonio Alluce, la condanna è di 28 anni di carcere. Nessuna delle vittime, nessuno di quei ragazzi, Kwame Antwi Julius Francis, Affun Yeboa Eric e Christopher Adams del Ghana, El Hadji Ababa e Samuel Kwako del Togo, e Jeemes Alex della Liberia, aveva avuto rapporti con i Casalesi né con la criminalità nigeriana. La Cassazione ebbe a confermare le condanne del primo e nel secondo grado di giudizio: ergastolo per quattro dei cinque imputati – Setola, Granato, Cirillo e Letizia – e 28 anni di carcere per Antonio Alluce. Furono confermate le aggravanti del metodo mafioso, della strage, dell’odio razziale e dell’aver agito per futili motivi. Per la Cassazione, nel primo raid, “è risultata accertata la manifestata intenzione di colpire chiunque capitasse a tiro, senza risparmiare neppure donne e bambini e, comunque, persone inermi”, e nel secondo “l’intento del gruppo di fuoco era quello di uccidere tutti coloro che fossero presenti nella sartoria evitando che vi fossero superstiti”. Il commando dei Casalesi responsabile della strage – si legge nelle motivazioni della sentenza – agì “senza curarsi della incolumità di nessuno e animato da “evidente avversione e chiaro disprezzo per le persone di colore”.