L’ESTREMISMO DI OGGI: BUTTARLA IN CACIARA, DALL’EUTANASIA AGLI SNACK

L’ESTREMISMO DI OGGI: BUTTARLA IN CACIARA, DALL’EUTANASIA AGLI SNACK

E’ un peccato che non ci siano in circolazione pensieri estremi, che nessuno rompa la superficie per guardarci sotto, o peggio ancora che nessuno guardi in alto, sognando e progettando cose che sembrano impossibili (Majakovskij: “Ehi, voi! Avanti con il cielo!”). Tutto è medio, tutto è ragionevole, tutto agisce nell’orbita del consentito. Con questo sistema di assoluta e cieca protezione del presente avremmo ancora gli zar, o magari un’app che ci convoca a costruire le piramidi. Ma tant’è: si fa il presente con quello che c‘è, per il futuro ci penseremo. Niente estremismo, quindi. Peccato. Come per quasi tutto, le cose resistono in farsa, in burletta, e così ci stiamo abituando lentamente al più noioso degli estremismi, quello dialettico, che è quasi solo paradosso e provocazione, in sostanza esagerazione e argomento da talk show. Talmente mitridatizzati e assuefatti a certe caricature della realtà – però vendute come vere e assodate – che nemmeno ce ne accorgiamo più. L’ultimo caso, abbastanza indicativo, è quello delle reazioni degli ultrà cattolici alla recente sentenza della Consulta sul suicidio assistito. Che è lecito solo in pochissimi terribili casi, che prevede paletti rigidi e severissimi. Ed ecco arrivare la caricatura, la visione estrema che polverizza il ragionamento. Nelle incursioni, e scritti, e interventi di chi sostiene un no duro, puro e definitivo a qualunque eutanasia, si presenta una realtà parallela in cui lo Stato autorizza il suicidio di chiunque, in qualunque momento. Cazzo, ho preso quattro in fisica… beh, tranquillo, vai alla Asl e ti fai fare una puntura di curaro. Oh, mi ha mollato la ragazza! E subito il medico pone fine alle tue sofferenze di giovane Werther. E’ una cosa che fa sempre abbastanza ridere, questo estremismo catastrofista del paradosso. Il “moriremo tutti!”, il “dove andremo a finire”. E il meccanismo, poi, è semplicissimo. Basta prendere l’argomento di cui si discute, stirarlo all’inverosimile come un elastico, e poi lanciarlo, costringendo tutti a prendere per vero ciò che non lo è. Nel recente dibattito sulla “tassa sulle merendine” (a proposito di guardare il cielo…), che ha occupato ore e ore di dibattiti televisivi, non si discuteva più se fosse giusto o sbagliato mettere un balzello su determinati prodotti, ma si strologava su come una tassa sugli snack avrebbe potuto “risolvere i problemi del Paese”. E’ un ben strano estremismo, si converrà, ed è anche facile: si pone una situazione paradossale come se fosse vera e si discute su quella. “Pensate di risolvere i problemi del Paese con una tassa sulle merendine?”. Al che la risposta corretta sarebbe “Non diciamo puttanate”, e invece si balbetta, cadendo nel vuoto e nelle sabbie mobili. Storico esempio mai tramontato: l’estremismo dialettico anti-immigrati e una frase-tipo, ormai accettata nel gergo politico-mediatico. “Non possiamo accoglierli tutti”. E’ come un interruttore: detto quello (e su quella base: non possiamo accoglierli tutti) parte il dibattito. Nessuno che chieda: tutti chi? Gli africani? I libici? I siriani? Tutti sette miliardi di esseri umani? Nessuno che dica all’interlocutore: ma è sicuro che un miliardo e passa di africani voglia venite qui? E perché, poi? E invece niente: si parte a discutere di immigrazione, accoglienza, integrazione su una base la cui ovvia risposta è “no” (possiamo accoglierli tutti? No). E’ il disordine del discorso, insomma. Quello delle chiacchiere, insomma, è l’ultimo estremismo che vediamo all’opera, un banale trucchetto dialettico, polvere alzata e cortina fumogena. Ogni discorso pubblico ne è pieno, se ci fate caso, ogni discussione, o confronto, tende a creare una situazione paradossale, estrema ai limiti del surreale, e poi a discutere di quella, invece che della realtà. Oplà, facile, no?