PER IL PROPORZIONALE

Non stiamo parlando in astratto di un sistema in linea di principio migliore o peggiore di un altro. Stiamo parlando dell’Italia della seconda repubblica, dove le leggi elettorali mutano di continuo a seconda degli interessi delle maggioranze al potere. E stiamo parlando di una situazione in cui la semplice menzione di un possibile ritorno al proporzionale ha suscitato le ire funeste di Salvini con minacce di referendum, peraltro illegittimi e di moti di piazza, sgradevoli ancorché legittimi. A lui piacciono le leggi maggioritarie, quelle in cui chi ha solo un voto in più governa ed è autorizzato a fare ciò che vuole. A lui piacciono le leggi vigenti in Polonia e in Ungheria che garantiscono maggioranze di due terzi a chi supera il 40 % e che sono la base fondante per democrazie sempre più illiberali. Un tipo di leggi molto simili a quella vigente in Italia, che oggi sembra scritta da Calderoli, anziché da quella cima di Ettore Rosato; una legge che garantirebbe al centro-destra, in base agli attuali sondaggi, una maggioranza schiacciante.Non si tratta di maggioranza di consensi: perché, da questo punto di vista, i due schieramenti si equivalgono. Si tratta del fatto che, nei collegi uninominali, il centro-destra è in grado di presentare candidati comuni (e di farli votare) e il centro-sinistra (da Calenda a D’Alema, per non parlare dei rapporti tra il Pd e i 5S) no. Per tacere del fatto che i tre soci del centro-destra sono tutti al di sopra della quota di sbarramento; mentre, a sinistra la cosa è sicura solo per il Pd e i 5S.Tutto questo anche per tacere dei guasti irrimediabili del combinato disposto tra riduzione del numero dei parlamentari e maggioritario esasperato.Considerazioni terra terra, direte. Ma mica poi tanto, se solo ci riflettete un attimo. Perché, questa volta la posta in gioco è alta, molto alta.Si dirà che il Pd ha nel suo Dna la vocazione maggioritaria. Può darsi. Ma quello che è certo è che in trent’anni questo amore non è stato mai veramente corrisposto; e, ancora, che un partito poco al di sopra del 20% deve rassegnarsi, se vuole vincere, a essere il garante di uno schieramento plurale e non il rappresentante autosufficiente di tutto e di tutti.