MISTERO DI STATO TONI-DE PALO, RIAPERTA L’INCHIESTA. INTERVISTA A GIANCARLO DE PALO

Dal 2 settembre 1980 non sappiamo più niente di Italo Toni e Graziella De Palo, giornalisti italiani, svaniti nel nulla a Beirut. Una pagina tra le più vergognose tra i molti misteri d’Italia legati agli anni settanta e ottanta, perché in realtà sappiamo benissimo che sono stati rapiti e uccisi. Sulla loro vicenda, costellata dai depistaggi del servizio segreto militare italiano, il Sismi, è calato fino al 2014 il segreto di stato, e infine con buona pace di tutti, soprattutto della sinistra italiana legata alla resistenza palestinese, è calato l’oblio. Da qualche giorno però la procura di Roma ha avviato nuove indagini contro ignoti, grazie alla perseveranza dei familiari di Graziella De Palo, sulla scomparsa dei due giornalisti. Il fascicolo è ancora contro ignoti. L’avvocato della famiglia, Carlo Palermo, che da magistrato scampò solo per caso alla strage di Pizzolungo, ha infatti rintracciato un ex agente segreto che all’epoca lavorava a Beirut con il capocentro del Sismi, il colonnello Stefano Giovannone, ormai morto, che sarebbe a conoscenza di alcune vicende relative al sequestro. Per capire esattamente cosa è accaduto dobbiamo contestualizzare gli avvenimenti nell’epoca in cui si sono svolti, contrassegnata dall’esistenza del cosiddetto “Lodo Moro”, un patto segreto di non belligeranza tra Stato italiano e Olp, Organizzazione per la Liberazione della Palestina, di cui fa parte l’ala marxista-leninista dello Fplp, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, in base al quale i gruppi armati palestinesi avrebbero potuto muoversi liberamente in Italia e trasportare armi e in cambio non avrebbero compiuto attentati nel nostro Paese. Ma cosa erano andati a fare Toni e De Palo a Beirut venti giorni dopo la strage alla stazione di Bologna? Ci sono molte ipotesi e nessuna certezza sulla natura dell’inchiesta giornalistica alla base del loro viaggio in Libano, ipotesi tra cui si cela il motivo della loro eliminazione fisica. Italo Toni, 50 anni al momento della scomparsa, aveva documentato già nel 1968 l’esistenza di campi di addestramento della guerriglia palestinese in medioriente, un’area di cui era esperto in quanto vi aveva soggiornato a più riprese. Graziella De Palo, 24 anni, nonostante la giovane età si era già occupata di inchieste sul traffico di armi tra Italia e medioriente. Il 22 agosto del 1980 partirono insieme per Damasco, in Siria, e da lì verso il Libano, all’epoca lacerato da una guerra civile durata dal 1975 al 1990. Già la genesi del viaggio è strana. I due avevano scritto a quattro mani un libro su Che Guevara ed erano stati invitati formalmente a Cuba da Fidel Castro proprio in quei giorni, come riconoscimento alla celebrazione letteraria del rivoluzionario. Invece all’improvviso mutarono completamente destinazione, con questo viaggio in Libano organizzato e pagato dal rappresentante dell’Olp in Italia di allora Nemer Hammad, morto tre anni fa. Il 24 agosto arrivano in macchina a Beirut all’hotel Triumph, ospiti di Al Fatah, l’organizzazione più consistente dell’Olp, che gli mette a disposizione un interprete. Qualcosa però indispettisce Al Fatah o alcuni suoi membri. I due giornalisti intendono documentare il flusso di armi che dal medioriente arriva in Italia e non tengono molto nascosta la loro intenzione. Già in passato Graziella De Palo aveva denunciato su Paese Sera il coinvolgimento italiano nel traffico illegale, descrivendo il capo del Sismi a Beirut colonnello Giovannone, senza farne il nome, come “l’agente commerciale in Libano, con il compito di organizzare il traffico di armi per il Medio Oriente”. All’epoca in cui scrive la De Palo nessuno sa ancora niente del Lodo Moro. Il primo settembre i due, preoccupati evidentemente per la loro sicurezza, si recano presso l’ambasciata italiana a Beirut, facendo presente che stavano per intraprendere un viaggio e chiedendo di essere cercati se non fossero tornati entro tre giorni. Il 2 settembre sappiamo che avevano un appuntamento con esponenti del Fronte Democratico di Liberazione della Palestina, di Nayef Hawatmeh, destinazione i campi d’addestramento dei guerriglieri palestinesi nel sud del Libano. Non arriveranno nemmeno a quell’appuntamento, come testimonia un’altra cittadina italiana, quando la macchina dell’ Fdlp passa a prenderli i due non ci sono, il rapimento è avvenuto prima e senza testimoni. L’ambasciata italiana non si attiverà fino al 15 settembre, quando le famiglie dei due giornalisti denunciano la loro scomparsa. Da allora soltanto ipotesi. Giancarlo De Palo è il fratello maggiore di Graziella, è giornalista, lavora come capo redattore a liberoreporter.it. Con la forza dei giusti è arrivato a offrire il silenzio in cambio almeno del corpo della sorella per poterla piangere, ma neanche così ha ottenuto risposte. E’ una persona aliena da qualsiasi complottismo, vuole soltanto sapere la verità. Con grande disponibilità accetta di parlare della vicenda a tutto campo, compresi gli aspetti sgradevoli. All’epoca si disse che Italo Toni lavorava per i servizi segreti italiani, quindi che in qualche modo la sorte di Graziella sia stata segnata da quella di Toni. Può anche essere che i palestinesi li considerassero spie. Ma in ogni caso le spie si scambiano non si uccidono. Italo Toni ha avuto effettivamente rapporti non chiari con l’Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno, risulta dai documenti di cui mi ha parlato il giudice Giancarlo Armati al tempo del primo processo. Può darsi che lo ricattassero per qualche motivo. Però io su Italo Toni non so dire chi fosse e cosa volesse. Purtroppo c’è questa cosa che risulta. Diverso è il discorso su mia sorella che conosco bene e so cosa significasse per lei il giornalismo. Le spie inoltre ricevono soldi e mia sorella non aveva una lira. Infatti per il viaggio si sono affidati all’Olp. Come si è arrivati a quel viaggio? Non escludo che possa essere stato Never Hammad, con cui avevano ottimi rapporti, a invitarli, non te lo so dire con certezza. Si conoscevano molto bene, Toni andava spesso nell’area. Negli stessi giorni erano stati invitati a Cuba per il libro su Che Guevara, poi è improvvisamente spuntato dal nulla questo viaggio in Libano tutto spesato. Graziella prima sull’Astrolabio e poi su Paese Sera aveva scritto spesso del traffico di armi clandestino e dell’esponente italiano dei servizi che lo copriva, il colonnello Giovannone, anche se non ne aveva scritto il nome. Temo che sia partita per cercare le prove e questo abbia contribuito alla sua eliminazione. Abbiamo litigato, perché a differenza sua io non avevo simpatia per l’Olp, l’avevo sconsigliata perché era troppo pericoloso andava a indagare sull’Olp in casa dell’Olp, era chiaro che finiva male. Ci siamo poi riconciliati per telefono prima che scomparisse perché neanche io ero a casa in quei giorni. Eppure nel 2014 era stato tolto il segreto di stato sugli atti relativi alla scomparsa. Il segreto di stato dovrebbe essere caduto ma, come mi ha spiegato anche l’avvocato Palermo, loro dopo averti fatto vedere l’atto a cui è stato tolto il segreto lo secretano di nuovo per altri trent’anni. Quindi non è vero che è caduto, in realtà è stato mantenuto. I documenti che abbiamo sono pieni di omissis, cancellature relative a nomi di persone che sono ancora vive. Li abbiamo ottenuti soltanto tramite un ricorso al Tar. L’avvocato Palermo ha trovato un ex dipendente di Giovannone che ha una testimonianza diretta dei fatti. Io ho fatto una denuncia e l’inchiesta è stata riaperta. Non è stato ancora interrogato e niente impedisce che l’inchiesta venga di nuovo archiviata. Non mi stupirei, visto quale è stato l’iter giudiziario, fatta eccezione per il giudice Armati che ha fatto il possibile. Nella prosecuzione dell’inchiesta sono riuscito a ottenere l’arresto di Giovannone, che finì ai domiciliari, era ormai malato, per favoreggiamento e rivelazione di segreti di Stato nel rapimento e l’uccisione di mia sorella e Toni. E’ l’unico che in parte ha pagato. L’inchiesta di Armati ha accertato che i due furono prelevati all’hotel Triumph dai miliziani di George Habbash (leader Fplp, ndr), interrogati e uccisi poche ore dopo. Armati chiese il rinvio a giudizio del colonnello Giovannone e del generale Santovito, direttore del Sismi, per favoreggiamento, ma morirono entrambi. Habbash invece è stato assolto assolto in tutti i gradi di giudizio per insufficienza di prove. Solo un dipendente militare dell’ambasciata italiana è stato condannato al carcere. Nemmeno dal punto di vista umanitario siete mai stati contattati da qualcuno che informalmente vi abbia detto come sono andate davvero le cose? All’inizio, subito dopo i fatti, ci fu un palestinese che contattò la famiglia di Toni per dire amichevolmente che lui era morto e non sapeva di lei. Chiesi allora aiuto a Luciana Castellina (parlamentare comunista, ndr) che mi fece parlare con un funzionario palestinese. Questo qui invece di aiutarmi riferì tutto a Never Hammad e alla fine la persona che aveva cercato di dirci cosa fosse accaduto mi chiamò molto preoccupata per i danni che gli stava causando la vicenda. Per cercare di sapere chi era alla fine ho rovinato tutto, perchè l’Olp si mise in allarme. Questo da parte palestinese. Da parte italiana invece ci fu una donna di una formazione in dissenso con l’Olp, Lya Rosa, che scrisse a mia madre che l’invito a visitare le postazione dell’Olp nel Libano del sud era soltanto una scusa, perché erano due spie ed erano stati uccisi per questo. Ci sono state tante piste alternative indicate negli anni. Una fu la ritorsione per la vicenda legata ai missili sequestrati a Ortona per cui fu arrestato insieme a Daniele Pifano anche Abu Anzeh Saleh, responsabile della struttura militare clandestina del Fplp in Italia. Si è parlato addirittura di un legame con la strage di Bologna su cui tua sorella stava svolgendo un’inchiesta. Di fatto c’è stato il doppio gioco dei servizi segreti italiani che hanno mascherato la verità. Che idea ti sei fatto in questi anni? Certo, su Bologna Graziella stava indagando. Se fosse vera la pista palestinese sulla strage di Bologna ci sarebbe un legame. Io però francamente non sono abbastanza addentro, non lo so. Non te lo so dire, non so giudicare su questo. Conosco il caso di mia sorella ma non sono un esperto di medioriente, non riesco a dare un giudizio. Potrebbe essere una vendetta. Però su una cosa voglio essere chiaro. Il movente è importante, ma quella è una situazione in cui con ai palestinesi non è che occorresse chissà quale grave colpa vera o presunta per essere ammazzati. Può esserci dietro una cosa importante o anche niente, avendo avuto a che fare con loro so che basta una domanda di troppo. Cosa ti aspetti adesso, pensi che si possa arrivare a una fine? Non mi aspetto niente, Ho chiesto che in cambio del silenzio e del perdono ci facciano ritrovare i corpi, mi basta questo. Se la procura di Roma non è più il porto delle nebbie che è stato forse l’inchiesta andrà avanti, magari verrà interrogato anche Francesco Pazienza. Loredana Lipperini ha reso un omaggio meraviglioso a mia sorella con un’opera d’arte, “L’arrivo di Saturno”. Adesso quello che voglio è che sia ricordata mia sorella, la memoria, un degno ricordo per il quarantennale della scomparsa il prossimo anno. Poi sul piano dell’inchiesta, essendo questo un mistero italiano tra i più complessi, risolvendo questo si potrebbe arrivare alla soluzione di altri misteri come la strage di Bologna e tutto il resto.