LA SACRALITÀ DEL LAVORO IMPONE MAGGIORE ATTENZIONE

Vorremmo per un momento ancora non cadere nella trappola di quanti strumentalizzando il pomeriggio di sabato scorso nella nostra città hanno voluto sminuire la forza dirompente che quella giornata ha rappresentato.Non per esaltare quanti hanno voluto organizzare quel corteo. Non per accordarsi al coro degli scandalizzati per le partecipazioni considerate sconvenienti.Non per criticare il lavoro svolto da quanti sono impegnati nelle istituzioni o negli apparati di controllo o negli stessi sindacati a difesa del diritto al lavoro ma per soffermarci ancora una volta sui temi dei diritti di quanti si vedono lesi fino alla perdita di ogni dignitàNon c’è rabbia verso di loro, verso quanti hanno le responsabilità, non c’è nessuna acredine perché le tante colpe che sono equamente suddivise su ognuno di noi.Il sentimento è invece quello di un profondo e dolente rammarico, per quel chiamo oggi ed invece eravamo ieriC’è in tutto quanto accaduto il dovere del rispetto alla sacralità del lavoro che impone una profonda attenzione che va ben oltre le polemiche, gli schieramenti, oggi ancor più dolorosi e che supera lo svilimento che arriva dalle minacce, dalle reciproche accuse. Impegna tutti nella difesa dei diritti e non è solo questione di Costituzione che impone a questo nostro Paese considerare la dignità come bene insopprimibile di ogni uomo.Di ogni uomo, di ogni donna, dunque che vivono sotto il cielo di Prato Lo svilimento che capita di provare ascoltando questi nostri compagni di viaggio, questi fratelli è devastante ed impone un profondo rispetto per ognuno di loro. E se tanti erano presenti molti di più erano a casa, con la famiglia, con gli amici impauriti preoccupati, devastati dallo sfruttamento ma anche dalle paura di denunciare, dal pensiero di dover dire che “io sono sfruttato” ma temo di perdere anche quel poco che “quell’aguzzino che è anche mio salvatore” mi concede, quel poco che consente a sperare per un domani.Torna alla mente una delle grandi figure del nostro tempo che pure ha voluto toccare il suolo baciato da quella Cintola che ci ha unito in tante occasioni.Una Cintola che oggi sembrerebbe sul punto di sfilacciarsi.Quella Cintola a cui fece riferimento il Santo Padre quando arrivò a spronarci, quando venne a sollecitarci di cingerci di nuovo.Il Papa ebbe la forza e l’umiltà di rammentare la sacralità di ogni essere umano che “richiede per ognuno rispetto, accoglienza e un lavoro degno; la vita di ogni comunità esige che si combattano fino in fondo il cancro della corruzione e il veleno dell’illegalità. Dentro di noi e insieme agli altri, non stanchiamoci mai di lottare per la verità!” Lo stesso Santo Padre, in un altro contesto, in occasione della 48.ma Settimana sociale dei cattolici, nell’ottobre del 2017, volle soffermarsi su quelle pratiche che negano ed offendono il principio della dignità del lavoro: “Offendono la dignità del lavoratore anche il lavoro in nero, quello gestito dal caporalato, i lavori che discriminano la donna e non includono chi porta una disabilità. Anche il lavoro precario è una ferita aperta per molti lavoratori, che vivono nel timore di perdere la propria occupazione”. “Io ho sentito tante volte questa angoscia – ci indicò il Papa – l’angoscia di poter perdere la propria occupazione; l’angoscia di quella persona che ha un lavoro da settembre a giugno e non sa se lo avrà nel prossimo settembre. Precarietà totale. Questo è immorale. Questo uccide: uccide la dignità, uccide la salute, uccide la famiglia, uccide la società. Il lavoro in nero e il lavoro precario uccidono”. Nel videomessaggio il Pontefice volle esprimere anche “preoccupazione per i lavori pericolosi e malsani, che ogni anno causano in Italia centinaia di morti e di invalidi. La dignità del lavoro è la condizione per creare lavoro buono: bisogna perciò difenderla e promuoverla”.Si dirà che nessuno vuole lo sfruttamento, nessuno affermerà mai di accettare lo svilimento dei diritti, nessuno, ma questo purtroppo avviene.Lo abbiamo visto, nelle occasioni in cui queste verità ci sono state sbattute in faccia in modo fragoroso ma lo possiamo vedere anche visitando i nostri luoghi di lavoro.Non possiamo più considerare che tutto ciò avvenga.Non possiamo ancora di più pensare che oggi, qualcuno a Prato, voglia mettere all’indice quanti hanno voluto rendere evidente quello che abbiamo consentito accadesse nelle nostre fabbriche