IL DRAMMA DEL PICCOLO ALFREDINO RAMPI 37 ANNI DOPO

DI CLAUDIA SABAÈ Il 10 Giugno 1981.L’italia è sconvolta dal terremoto dell’Irpinia e dall’attentato in Piazza San Pietro a Giovanni Paolo II.La notizia di Alfredo Rampi, un bimbo di sei anni precipitato in un pozzo artesiano tra Frascati e Roma, fa subito scalpore e la Rai dispone una diretta tv sulle operazioni di soccorso per salvare Alfredino.È la prima volta di un dramma, trasformato in un fenomeno mediatico.La polizia chiamata dai genitori, arriva nella serata di venerdì 12 giugno e subito localizzano il bambino.Poco dopo mezzanotte anche i Vigili del Fuoco raggiungono il posto.Il pozzo in cui è caduto Alfredino è largo 30 cm e profondo 80 metri.Gli esperti pensano che il piccolo sia bloccato a 36 metri di profondità ma si accorgono ben presto che ancor prima di poter intervenire il bimbo è già scivolato a 60 metri.A Vermicino intanto è arrivata anche una tv locale che riprende il primo tentativo di salvataggio effettuato con una tavola di legno.Il metodo era stato consigliato da un gruppo di speleologi ma si rivelerà inadatto a liberare il piccolo.Il tempo passa sempre più velocemente e non ne resta molto per salvare il bambino.I vigili del fuoco tentano allora di scavare con una trivella un pozzo parallelo.Ma la trivella non c’è e viene lanciato un appello per reperirla.Un privato risponde immediatamente all’appello.Le immagini intanto, si fanno sempre più crude e un microfono calato nel pozzo rimanda lamenti del piccolo sempre più strazianti.Intorno al pozzo una folla sempre più folta di curiosi con volontari che si susseguono tra le grida disperate della mamma di Alfredino.Compaiono anche gli ambulanti a vendere ogni tipo di prodotto alimentare, si mangia mentre il bimbo è sempre più solo in un buio senza fine.Un coraggioso volontario, Isidoro Mirabella si cala giù nel pozzo nella serata di Giovedì. Il giorno dopo nel pomeriggio arriva il Presidente Pertini per esprimere la sua solidarietà alla mamma del piccolo.Intanto Alfredino è caduto ancora più in basso e la trivella si rivela inutile.Adesso il tempo si fa più lento e Tullio Bernabei calcola di nuovo la distanza di Alfredino dall’imbocco del pozzo.È sceso ancora, oltre 60 metri.Il vigile del fuoco Nando Brogli sosterrà per tutto il tempo il piccolo parlandogli con un microfono per 24 ore.Nel tunnel si susseguono intantovolontari Claudio Aprile e Angelo Licheri che però falliscono ancora una volta.È poi la volta di un nano e di un contorsionista.L’ultimo a scendere, Donato Caruso, lancia all’improvviso un grido che arriva dritto al cuore dei 21 milioni di telespettatori:Alfredino non si muove più.Lo spettacolo della morte finiscedopo 60 ore di diretta.Si torna così alla vita di sempre, quasi a confermare che nonostante tutto, noi esistiamo ancora.A dispetto di una morte annunciata, sezionata minuto per minuto,dalla morbosa curiosità piuttosto che dal riserbo.Dal rumore di bocche piene piuttosto che dal silenzio che un dolore merita.Passeranno 31 giorni prima che il corpo freddo e sporco di Alfredino torni alla luce.Ancora oggi a distanza di tanti anni, si cerca di dare una spiegazione a quel dramma.La caduta è stata accidentale oppure il bambino è stato spinto?Nessuna risposta è mai arrivata dalla Procura di Roma che all’epoca aveva aperto un’inchiesta.Intanto ci si interroga sul perché una vicenda di cronaca sia diventata un caso mediatico e per quale motivo la televisione da allora si è trasformata sempre più in reality.Dovremmo chiederci se questa morbosità sempre più crescente, questa voglia di voler provare emozioni sempre maggiori, non nasconda in realtà le nostre paure più profonde.Di scoprire che viviamo un’esistenza sempre più caratterizzata dal vuoto esistenziale, dalla noia, dal niente.A tutto vantaggio di una televisionesenza qualità, che rincorre gli istinti più squallidi, li enfatizza o addirittura li provoca, senza curarsi delle conseguenze e dei modelli sociali che diffonde, della cultura che alimenta, in cambio dell’unico valore che si possa raggiungere: l’audience, ad ogni costo.