IL PENTITO DI MATTEO ACCUSA: “LO STATO NON MI PROTEGGE”

Giuseppe Di Matteo era un bambino pieno di vitalità con una grande passione per i cavalli.Suo padre, Santino Di Matteo detto “Mezzanasca”, era un affiliato di Cosa nostra e frequentava personaggi dello “spessore” di Giovanni Brusca. Il 4 giugno 1993 venne arrestato per numerosi omicidi di mafia e poco dopo decise di collaborare riferendo nomi e cognomi dei responsabili delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Fu proprio grazie a lui che si arrivò finalmente a una svolta nelle indagini.L’11 gennaio del 1996 Vincenzo Chiodo, Enzo Brusca e Giuseppe Monticciolo eseguirono l’ordine di uccisione nei confronti del piccolo Giuseppe Di Matteo, dopo averlo tenuto prigioniero per ben 779 giorni.Chiodo ordinò al bambino di mettersi nell’angolo della camera con le braccia alzate, mentre Enzo Brusca e Monticciolo lo tenevano fermo, poi si avvicinò e gli avvolse la corda intorno al collo.Una volta morto, presero il suo corpo e lo sciolsero nell’acido.Con l’omicidio del piccolo Di Matteo, Cosa nostra mostrò la sua massima crudeltà. Vigliacca e senza onore, non ebbe nemmeno il coraggio di guardare negli occhi un innocente.Oggi il pentito Di Matteo fa causa allo Stato: “Non mi protegge”Una condanna per detenzione di armi lo ha espulso automaticamente dal programma di protezione.Da allora il pentito Santino Di Matteo ne chiede il ripristino e da anni fa causa allo Stato.“Io ho perso la cosa più cara che avevo al mondo per fare arrestare i miei complici che erano gli assassini del giudice Falcone. Ho perso mio figlio. E lo Stato che fa? Si dimentica di me, non mi protegge più”, queste le parole amare del Di Matteo.Lui stesso ammise di essersi unito a Balduccio Di Maggio, ex fedelissimo di Totò Riina ma precisa di averlo fatto solo per cercare suo figlio.La direzione antimafia diPalermo aveva chiesto che Santino Di Matteo fosse riammesso nel programma di protezione, ma la commissione centrale si oppose. Il primo ricorso al Tar fu vinto dal Di Matteo, ma l’Avvocatura dello Stato ha impugnato il provvedimento e questa volta il Consiglio di Stato ha dato ragione al ministero dell’Interno.I giudici hanno tuttavia precisato che Santino Di Matteo va protetto, perché resta una persona a rischio.Oggi, Santino Di Matteo, vive lontano dalla Sicilia e lavora in una comunità gestita da un sacerdote. “Mi interessa solo vivere tranquillo, ma il ricordo di mio figlio Giuseppe è sempre presente. Era lui che faceva coraggio a me. Aveva il dono del sorriso e me l’ hanno ammazzato”.