MESSICO. TRA TERREMOTO, SPERANZA E ABBANDONO

Josue, un bimbo di undici anni, è stato trovato ancora in vita, dopo 24 ore, a Juchitan piccola città del sud dello stato di Oaxaca praticamente rasa al suolo dal terremoto. Anche nel sisma del 1985 fece notizia la storia di un bimbo salvato dalla madre incinta, morta sotto le macerie, a cui la nonna le aprì il ventre per salvare la vita che racchiudeva, quella del piccolo Jesus Francisco Flores che così racconta la sua nascita: ”Sono nato tra i morti”. Della sua famiglia l’unica sopravvissuta fu la nonna. Sembra quasi che la natura dopo la distruzione debba restituirci una speranza e questa speranza passa sempre attraverso il salvare una giovane vita. Ma la macchina dei soccorsi sembra non funzionare e si muove più preoccupata per il proprio elettorato che per i bisogni reali dei cittadini. Bernardo Porraz, vive a Oaxaca, artista visuale messicano direttore della fotografia del documentario “Torre por Torre” dedicato al grande giocatore di scacchi il yucateco Carlos Torre non usa mezze parole:” I soccorsi dello stato sono stati inefficienti quando va bene pessimi quando vedi che secondo la vicinanza politica o la distanza dal governatore o sindaco si ripartiscono le risorse per l’emergenza in atto e in un modo a dir poco sfacciato”. Tra un anno in Messico ci saranno le elezioni presidenziali. La zona più colpita dal terremoto è quella dell’istmo di Tehuantepec, nel sud dello stato di Oaxaca, uno dei piú indigeni del paese dove convivono diciassette popoli differenti: Ñuu sávi, Ha shuta enima, Ayuukjä’äy, Kitse cha’tnio e molti altri. Proprio il territorio dell’istmo è quello che più fortemente si è opposto a un grande progetto economico di Peña Nieto. – Io che penso male non mi stupisco poi così tanto di questa “voluta” lentezza – continua Bernardo – nel fare arrivare i soccorsi nelle zone più impervie che continuano ad essere isolate. Comunque come sempre è la societá civile quella che si è mossa per raccogliere gli aiuti ed organizzare i soccorsi. Tutti siamo abituati che in mancanza di uno stato il governo pensi a se stesso e noi al paese che siamo tutti. L’associazione dei pescatori ha denunciato il versamento di petrolio nel porto di Oaxaca da uno dei contenitori di crudo posti in mare dove le petroliere scaricano il petrolio perché venga poi raffinato. Ai lavoratori dell’impresa petrolifera dello stato Pemex viene impedito di fare foto e video secondo quanto afferma il presidente dell’associazione dei pescatori . Da parte sua Pemex ammette un piccolo gocciolare di crudo. In realtà il serbatoio in questione si trova a cinque chilometri dalla costa e tutto il petrolio in trappolato nei tubi che lo collegano alla centrale è finito in mare. La risposta del presidente dei pescatori Anselmo Lopez Villalobos è dura: “Chiamiamo a raccolta i mezzi di comunicazione perché vedano i danni. L’inquinamento delle zone di pesca è evidente e l’impresa petrolifera vuole solo minimizzare i danni e non assumersi le sue responsabilità”. Insomma un Messico che oltre ad affrontare il dopo terremoto, si sono contate almeno settecento repliche, si ritrova a lottare con il clientelarismo, gli interessi di parte e l’abbandono silenzioso e continuo delle comunità indigene sparse nel suo territorio. Il Messico di sempre così lontano da Dio e così vicino agli affari sporchi o puliti, poco importa, per reinterpretare in chiave moderna, vista la presenza di altri paesi nel volersi appropriare del paese, la frase famosa del presidente messicano Porfirio Díaz (1830-1915) “Povero Messico, così lontano da Dio e così vicino agli Stati Uniti”. Intanto il numero delle vittime è salito a 100 e potrebbe aumentare viste le tante zone ancora isolate.