A PROPOSITO DEL DIBATTITO SULLA CINA COME MODELLO SPECULARE A QUELLO AMERICANO

A PROPOSITO DEL DIBATTITO SULLA CINA COME MODELLO SPECULARE A QUELLO AMERICANO

Francamente non trovo edificante accodarsi in questo dibattito mal posto sulla Cina come “modello” o meno, implicitamente speculare ad un altro modello, cioè quello americano, che a volte sovrapponiamo ad “occidentale” (termine che, tanto quanto “orientale”, non significa nulla) a causa di una esaurita propensione all’egemonia (o almeno alla competizione) culturale. Così come trovavo fuori luogo gridare allo scandalo dopo la firma degli accordi sulla Via della Seta – che peraltro ci avvicinavano a paesi come la Germania in termini di interscambio con Pechino -, trovo fuori luogo scandalizzarsi di fronte a politici che magari – consapevolmente o meno, ed il problema sta sempre lì: nell’avere un disegno o nell’improvvisare, come ahimè accade – vogliono esplorare o rafforzare i rapporti con la Cina. La tendenza al ragionamento binario ahimè contagia anche persone che non soffrono di analfabetismo funzionale. Così, molti colleghi normalmente assennati, dopo aver sfottuto Di Maio e Dibba (a cui imputo appunto semplice ignoranza, motivo per cui qualunque decisione presa in qualunque direzione può essere discutibile se presa in modo non del tutto consapevole) stanno riducendo la cosa a “stare con/contro la Cina”, come se rafforzare rapporti bilaterali significasse di default scegliere di essere subalterni, e di riflesso assorbire le brutture di chi ci domina. Questo assunto ha il suo speculare nella disponibilità implicita a mantenersi realmente succubi di Washington – cioè quello che siamo attualmente -, in ossequio all’idea, sempre frutto di logica binaria, che è meglio essere sottoposti di un paese democratico che di un sistema autoritario. Come se non ci fossero alternative, come se fossimo condannati a scegliere tra sputare in faccia ad un Putin e stendergli un tappeto rosso laccato in oro, senza sfumature. Il problema qui, così come su tutte le questioni che in questi anni hanno visto polarizzarsi il dibattito sottostante, mortificando la complessità e ogni spazio di manovra per la riflessione produttiva, è che questa concezione binaria non serve a nulla se non a creare tifoserie (che abbiamo già visto sulla Siria, per dire), inibendo una qualunque comprensione anche minima del quadro. Serve solo a generare slogan speculari a quelli dei filo putiniani che tanto sfottete, e che in maniera altrettanto fuorviata gongolano all’idea priva di fondamento secondo cui il rafforzamento di determinate relazioni internazionali sia il viatico per farci diventare patria famiglia ordine e disciplina. Vedo queste due posizioni egualmente stolte, poiché entrambe appannaggio di chi si sente di saperla lunga, senza capire nulla. Non esiste l’idea (nemmeno embrionale) di elaborare un proprio modello, una propria rete di relazioni internazionali, mantenendosi più o meno equidistanti (o equi-vicini) da tutti. Il mio paese dovrebbe avere la capacità o almeno la potenzialità di intrattenere rapporti trasparenti e paritari con ogni paese al mondo, possibilmente configurando o favorendo situazioni win-win. Non c’è molto altro, a parte il voler rendere e ricercare un equilibrio di forze che garantisca un certo livello di pace globale e il ribadire che il timore di esplorare rapporti poco esplorati è sempre figlio di una ignavia strutturale, dell’incapacità di valutare il proprio posto (semovente) nello scacchiere internazionale, e forse anche di una piccola sindrome di Stoccolma verso chi ci detta la linea da 70 anni, con qualche sporadica eccezione. La divisione netta, fallace, statica, profonda come un foglio A4 tra “democrazie” e “non democrazie”, come se la la complessità fosse definita, sancita, tagliata in due da una livella, anche no: la lascio agli Scanzi e ai Porro. Così come gli lascio volentieri un mondo in cui si tracci permanentemente una linea tra filo e anti, pro e contro, buoni e cattivi, e questo modo macchiettistico, puerile di fare e di guardare alla politica e alle relazioni internazionali.