CRONACHE DAL FRONTE

E’ una guerra, sì, ma è diversa dalle altre che ho visto e provato a raccontare. E’ una guerra infatti a cui noi giornalisti non eravamo preparati e che ci impone – di necessità virtù – un nuovo modo di lavorare, che stiamo lentamente, forse troppo lentamente, imparando. Non parlo delle precauzioni e della cautela a cui siamo costretti quando siamo per strada – cosa volete che siano una mascherina e dei guanti di lattice in confronto a un giubbotto antiproiettile e a un elmetto – parlo del fatto che ci è precluso l’accesso al vero campo di battaglia: che sono le case degli italiani, con i loro drammi, le loro paure e le loro speranze. E’ quella la linea del fronte. E la retrovia più importante sono ovviamente gli ospedali, dove arrivano i feriti di questa guerra. Tutto il resto è “territorio Comanche” – come lo chiamava, in Bosnia, Arturo Perz reverte, ex giornalista poi scrittore – terra di nessuno cioè, la più infida, dove il nemico non lo si vede ma ci tende trappole dappertutto. Si può lavorare, certo, ma a debita distanza, come impone l’obbligo vigente al distanziamento sociale. E per noi che facciamo tv , questo vuol dire fare le interviste al telefono o via Skype, vuol dire guardare la realtà senza poterci stare dentro e toccarla con mano. Mi viene in mente Robert Capa, il grande fotografo, quando diceva che in guerra “non esistono foto belle o foto brutte, ma solo foto prese da vicino o da lontano. E se la foto non è buona vuol dire che non eri abbastanza vicino”. Magari per questa guerra non è così, magari troveremo il modo giusto di raccontarla anche a distanza, da lontano, in modo da poter parlare ai cuori e alle menti degli italiani. Ma per ora mi pare che il tv ci sia un’abbondanza di talk-show e pochi reportage. E il dramma che stiamo vivendo è quasi sempre oggetto di una narrazione altrui – una narrazione peraltro molto politically correct – e non un racconto in prima persona, senza filtri, con tutta la sua forza e intensità. Sarò franco. Secondo me c’è stato troppo pudore in tv nel mostrare la tragedia che stiamo vivendo. E non mi riferisco certo al disagio di chi è costretto a restare in casa – c’è di peggio, lasciatevelo dire, oppure chiedetelo ai siriani che stanno all’addiaccio da mesi nella campagna di Idlib – ma al dramma sconfinato dei familiari di tutte queste vittime, che sono morte nell’abbandono e senza nemmeno il diritto a un ultimo saluto. Ieri ne ho incontrata una, Roberta Zaninoni, e avrei voluto abbracciarla. Ma non ho potuto. P.S. In basso il breve reportage realizzato ieri con lei per Speciale Tg1. E’ il mio modesto omaggio alle vittime e ai loro familiari. (Gli intervistati sono, nell’ordine: Don Matteo Cella, parroco di Nembro, Claudio Cancelli, sindaco di Nembro, e Roberta Zaninoni. Li rignrazio tutti e tre).