A PROPOSITO DI CONTRATTI DI LAVORO A TERMINE ( II PARTE)

Concludo tornando su due questioni delicate e controverse che, a mio avviso, meritano di essere chiarite nel migliore modo possibile perché oggetto di facili strumentalizzazioni, di parte datoriale, e di erronee valutazioni da parte dei lavoratori coinvolti.Alludo all’eventuale riduzione del limite massimo di durata dei contratti a termine (36 mesi più eventuali altri 12) e del ripristino di causali oggettive.Al riguardo, c’è, innanzi tutto, l’esigenza di evidenziare una cosa che è talmente ovvia da non essere, spesso, tenuta nella dovuta considerazione.Non esiste al mondo alcun datore di lavoro disposto ad assumere un lavoratore che rappresenti un’eccedenza rispetto alla forza lavoro sufficiente affinché la sua attività, imprenditoriale o meno che sia, venga espletata!Sarebbe sufficiente andare a ritroso negli anni per rendersi pienamente conto di quanto poco abbiano prodotto, in termini di reale aumento del numero degli occupati stabili, le politiche governative tese ad elargire incentivi “a pioggia”, nonché agevolazioni e sgravi (fiscali e contributivi) a favore dell’occupazione.Stendendo, contemporaneamente, un velo pietoso su quello che – in particolare nelle regioni del Sud, ma non solo – per un gran numero di soggetti: dai politici locali ai funzionari regionali, passando attraverso migliaia di “docenti” ed “esperti” a vario titolo, ha rappresentato l’equivalente del famoso Pozzo di San Patrizio, di Orvieto: il Fondo Europeo per la Formazione professionale!Tornando all’argomento in oggetto, è ovvio rilevare che, in effetti, alla discussione sulla durata massima dei rapporti a termine, andrebbe assegnato un ruolo secondario rispetto a un altro elemento, questo sì, dirimente: il motivo del ricorso a tale tipologia contrattuale.Intendo dire che, in applicazione di una logica semplicissima (ovunque, non solo nel nostro Paese), un rapporto di lavoro a tempo determinato dovrebbe avere motivo di esistere solo ed esclusivamente per fare fronte a esigenze produttive non programmabili – a breve, medio e lungo termine – e non perseguibili attraverso la forza lavoro normalmente disponibile; ma, comunque e sempre, esigenze temporanee e ben definite nel tempo!In altri termini: dovrebbe trattarsi, sempre, di fare fronte ad esigenze temporanee e non di carattere permanente.Ora, se è vero che porre un limite massimo ai contratti a termine – e quello italiano (36 + 12) è sin troppo generoso – esclude, almeno in senso letterale, che assumano un carattere permanente, è altrettanto vero che la norma prevista dalla nostra legislazione è facilmente “aggirabile”. Lo è in un modo che, definire “troppo facile”, è disarmante.È sufficiente coprire posti di lavoro, a tutti gli effetti, permanenti, ricorrendo a un continuo alternarsi di lavoratori con rapporti di lavoro a termine.Rapporti reiterati, di quattro/cinque mesi per volta, per uno e due anni o di sei mesi in sei mesi, per massimo due/tre anni; ma che, comunque, rappresentano, di norma, la sommatoria di diversi periodi temporali.Poi ricomincia la “giostra” e vengono coinvolti altri lavoratori; sempre attraverso le stesse modalità.Nulla di strano, quindi, che anche mia figlia abbia vissuto un’esperienza del genere – durata, complessivamente, circa due anni – con periodi di lavoro di tre/quattro mesi, intervallati, talvolta, da qualche settimana di “stacco”; e, ogni volta, avrebbe dovuto essere l’ultimo rinnovo prima di una trasformazione mai avvenuta. Tutto questo, non succedeva dal bottegaio sotto casa; si trattava di una consolidata azienda.Al riguardo, è facile verificare, attraverso gli Uffici Vertenze, delle maggiori associazioni sindacali, che sono decine di migliaia i giovani e i meno giovani coinvolti in quelli che appaiono reiterati e squallidi “ascensori a termine”; dai quali, con scientifica periodicità, alcuni scendono ed altrettanti salgono.Un altro espediente, cui in verità, solo pochi ricorrono, ricorda un trucchetto abbastanza in voga all’epoca dei famigerati Contratti di formazione e lavoro, di cui alla legge 863/84. Consiste nella possibilità, per il datore di lavoro, di assumere lo stesso soggetto – già suo dipendente con rapporto di lavoro a termine – con una qualifica diversa dalla precedente. Ciò gli consente la sottoscrizione di un contratto a termine ex novo rispetto al precedente. L’inizio, quindi, di un nuovo giro di “giostra” a tempo determinato,Personalmente, riterrei giusto tornare alla versione originale delle norme sui contratti a tempo determinato, almeno nella parte relativa all’esigenza di consentire il ricorso a tale strumento solo ed esclusivamente per alcune ragioni obiettive, previste dalla legge ed integrate da ulteriori, specifiche, necessità riscontrabili dal confronto tra le parti sociali interessate (di settore o categoria).Le ragioni obiettive – non più, quindi, come, invece, avviene oggi, senza alcuna causale – andrebbero indicate attraverso la legge e i Ccnl; niente di più rivoluzionario, dunque, che il ritorno al passato!A quel punto, le durate massime, di natura legale e contrattuale, sarebbero conseguenziali; in linea con le causali.Naturalmente, già pare di udire strepiti e lamenti.Secondo la versione di parte datoriale, è sin troppo facile immaginare i termini dei problemi che evidenzierebbero:1) a seguito alla riduzione della durata massima – per esempio, da 36 a 24 mesi – i datori di lavoro, esprimerebbero il massimo delle loro preoccupazioni, denunciando “Una contrazione dei contratti sottoscritti e, di conseguenza, una riduzione del numero degli occupati”;2) a seguito del ripristino di causali oggettive, lamenterebbero, inoltre: “La impossibilità”, causa il ritorno di quelli che qualificherebbero quali i classici “lacci e lacciuoli”, “di procedere a centinaia di migliaia di assunzioni di giovani e meno giovani”.Niente di più falso. Come se sostenessero di avere sempre mostrato preoccupazione per le sorti dei lavoratori.Il ripristino delle causali e i tempi massimi, con esse coerenti, rappresenterebbero, in effetti, per i contratti a tempo determinato, il ritorno a un regime di normalità; quella secondo la quale “Il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”, ai sensi dell’art.1, comma 1, del D. Lgs. 15 giugno 2015, nr. 81.Pertanto, ai datori di lavoro sarebbe impedito di stipulare contratti a tempo determinato – con il ricorso reiterato agli stessi e/o ad altri lavoratori – per esigenze di personale a carattere permanente; da coprire quindi, attraverso contratti a tempo indeterminato (seppure nella formula ampiamente riveduta e corretta delle c.d. “tutele crescenti”).Anche i lavoratori, però, potrebbero cadere nella trappola di considerare in negativo il ripristino delle causali e una riduzione dei tempi massimi dei contratti a termine. Qualcuno potrebbe, infatti, obiettare che il risultato sarebbe quello di veder diminuire il numero dei contratti stipulati e quello dei lavoratori coinvolti.L’obiezione parrebbe legittima e ben fondata, ma, considerando una visuale che superi l’interesse del singolo lavoratore e guardi a quello di migliaia di soggetti coinvolti in un vorticoso giro di oggettiva precarietà, le cose appaiono di gran lunga diverse.Si tratta, in realtà, di impedire che tanti lavoratori siano “ricattati” da promesse di proroghe e rinnovi, se non di “trasformazioni” (in piccolissima percentuale, come già detto), che servono al solo scopo di tenerli “tranquilli”, con la sostanziale impossibilità di pretendere – come è giusto che sia – il rispetto e il godimento dei più elementari diritti sindacali e contrattuali e costantemente sottoposti in uno stato di oggettiva sottomissione psicologica.E quindi chiaro che, una qualsiasi forza politica, tesa a dimostrare un’inversione di tendenza (rispetto alle contro-riforme realizzate nel corso degli ultimi anni) e un Sindacato non più disponibile ad abdicare ai propri compiti istituzionali, non possono correre il rischio di restare inermi di fronte alla concreta possibilità di intervenire, seppure in modo limitato e molto parziale, rispetto alla vigente normativa sui contratti a termine,