DI MATTEO E IL SUO J’ACCUSE: CUI PRODEST?

Non conosco Nino Di Matteo, di lui so soltanto quello che dicono i giornali, ossia quello che fa comodo ai poteri forti che li possiedono e finanziano, dunque niente di attendibile. È meglio rassegnarsi: in regime di totale deregulation e di certezza dell’impunità da parte di cazzari, bugiardi e spacciatori di bufale, i “fatti” devono essere sempre messi in dubbio e sottoposti all’unica verifica possibile quando manchino scrupolosità e fiducia: quella della logica.Che per esempio manca ai giornalisti, in particolare italiani, che ieri hanno dato evidenza alle accuse contro la Cina dell’insignificante gerarca di Trump, Mike Pompeo, benché nella conferenza stampa in cui annunciava di avere prove schiaccianti dell’origine del coronavirus in un laboratorio di Wuhan, si era contraddetto, impappinato e non era riuscito a corroborare in alcun modo la sua affermazione, peraltro smentita dagli scienziati, incluso il direttore dell’Istituto nazionale delle malattie infettive, Anthony Fauci, inviso a Trump perché non alimenta le sue teorie del complotto. Mentre un’informazione seria avrebbe messo in conto il vecchio trucco degli uomini forti in difficoltà (come Trump, in crisi di consenso) di inventare capri espiatori esterni per far leva sullo sciovinismo della gente e far dimenticare le proprie colpe e errori.I romani si chiedevano cui prodest, a chi conviene. Non è un criterio infallibile e neppure sufficiente ma aiuta. Tenendo presente che il beneficiario è a volte il protagonista dell’evento che stiamo analizzando, soprattutto in tempi, come quelli attuali, in cui il culto della propria personalità (vedi i selfie) è stato non solo sdoganato ma pare a molti un indice di merito, come una volta la Grazia divina. Ricordo bene la cocente delusione che subii quando mi accorsi della trasformazione di Antonio Di Pietro in una presuntuosa celebrity; e ancora non era iniziata l’era di internet. La pericolosità dei nuovi media è anche in questo (e ciò li rende indispensabili al liberismo): che legittimano e amplificano due fra i peggiori vizi umani (oggi virtù) ossia l’ambizione e l’avidità.Per cui, a rigor di logica, mi sento di esprimere il mio disprezzo per Di Matteo: o è un leghista, e allora lo capisco ma lo considero un nemico, oppure è un narcisista in cerca di attenzione e incapace di avvertire la differenza fra gli interessi del paese e le sue aspirazioni o delusioni personali. Per decenni la destra politica ha favorito la mafia e fatto accordi con essa; Di Matteo non può non saperlo, come non può non sapere che Alfonso Bonafede è uno dei ministri della giustizia meno sospettabili di collusioni con la criminalità organizzata. Ma soprattutto Di Matteo non può non sapere che Giletti e La7 fanno il gioco di Salvini, Renzi e Meloni. Che sia un provocatore, un ingenuo o un mitomane non ha importanza. Ha preferito la cagnara mediatica al rigore istituzionale: è un liberista, si candidasse per la Lega o Fratelli d’Italia.