MES E POST COVID-19: IL BIVIO DI CONTE E DELL’ITALIA

Mentre il governo si trova ad affrontare gli incerti dell’inizio della cosiddetta fase due dell’emergenza coronavirus le incognite sul piano economico si moltiplicano all’orizzonte più o meno silenziosamente. Anzitutto c’è la questione dei fondi che l’Ue intende mettere a disposizioneattraverso la procedura del Mes. L’incipit della procedura dovrebbe essere indolore, ma le insidie si nascondono nel dopo. Come ha spiegatocon dovizia di dettaglio sul suo blog l’ex viceministro Stefano Fassina, economista autorevole e persona di buon senso il Mes mette l’Italia a rischio troika non tanto ora, ma in seguito. Il che significa che per una serie di prestiti a zero tasso di interesse il Paese rischia di finire tra qualche mese o tra un paio d’anni vittima di quel sistema che ha stritolato la Grecia e che dopo le vittime lasciate sul selciato in terra ellenica è stato criticato aspramente, non si sa quanto quelle lacrime fossero di coccodrillo per vero, addirittura da chi lo aveva approntato: basti pensare al pentimento, più o meno convinto, di Jean-Claude Juncker, già presidente della commissione europea. Sarebbe imbarazzante, col Paese che tra qualche anno precipita in un contesto sociale di deprivazione, assistere all’ennesimo coming-out del Federico Fubini di turno, il quale spiega perché non ha voluto citare il dato dei bimbi deceduti per assenza di cure. Siccome queste cose il premier Giuseppe Conte le sa è bene che agisca. Altrimenti chi verrà dopo di lui dopo essersi accaparrato il favore dell’opinione pubblica nel modo più becero e demagogico, con promesse tanto false quanto impossibili da mantenere, potrebbe essere a usare il manganello, quello vero stavolta, per tentare di tenere insieme un Paese schiacciato dalla sua crisi interna e soprattutto divenuto terreno di conquista di una America mai così aggressiva (di cui Trump è solo una delle declinazioni) e una Cina sempre più astutamente pervasiva. In uno scenario del genere servirebbe l’Europa, ma non quella delle casate finanziarie internazionali, ma una Europa che riscopra anzitutto le sue radici solidaristiche. Un quadro descritto in questi termini significa chenon esistono misure per tentare di risalire la china?Qualcosa si può fare. Anzitutto si può tentare la strada del coinvolgimento del risparmio delle famiglie italianecome ha spiegato il consulente finanziario Francesco Celotto sulle pagine dell’agenzia di stampa Lineanews. Poi c’è la possibilità di trattare con alcuni acquirenti di pezzatura, come i fondi sovrani cinesi, l’acquisto di titoli di Stato a condizioni assai meno sfibranti di quelle abitualmente previste dalle casate finanziarie occidentali. La cosa non è molto gradita agli Stati Uniti e ad un pezzo degli aficionados atlantisti del Belpaese, ma la guerra fredda è finita da un pezzo e non guardare al mondo con un’ottica multipolare sarebbe da sciagurati. Allo stesso tempo non vanno dimenticate alcune misure ausiliarie che potrebbero concretizzarsi per esempio con la emissione di alcuni biglietti di Stato a sostegno della economia domestica. Tuttavia la questione di fondo è un’altra. Indipendentemente dalla sua originel’emergenza sanitaria ci insegna una cosa. Il mondo non è in grado di sostenere questo modello di sviluppo. Anzi, bisognerebbe cominciare ad ascrivere la parola sviluppo tra quelle che hanno una accezione negativa. La cosa da versanti diversi è stata spiegata da uomini del calibro diSerge Latouche, Massimo Fini, Luca Mercalli, Franco Cardini, Gianni Tamino, Mario Tozzi. Credere che la crisi sarà superata ricominciando a correre come prima, senza un cambio di paradigma, è da folli, da criminali e soprattutto da idioti. Sarebbe il caso che una volta per tutte di queste cose si cominciasse a parlare anche dalle parti di palazzo Chigi: chiunque ne sia l’inquilino. Chi in coscienza ritiene che si possa continuare a curare col veleno il morso d’una vipera?