LUCIO FULCI, MAESTRO DEI GENERI

LUCIO FULCI, MAESTRO DEI GENERI

Questo non è un giorno per il cinema politicamente corretto, per i film ordinati. Perché oggi avrebbe compiuto 93 anni Lucio Fulci, uno che il grande schermo lo ha sempre colpito con un montante da knockout. Il suo è stato un cinema senza pregiudizi, rivoluzionario, inquietante e visionario. Con la sua invadenza ha modellato a sua immagine e somiglianza ogni genere filmico, dando vita ad opere senza tempo ed estranee alle regole “classiche”. Nato a Roma il 17 giugno del 1927, Lucio Fulci approda nel mondo del cinema quasi per caso.Èstata una delusione d’amore a spingerlo ad iscriversi al Centro Sperimentale di Cinematrografia, dove viene ammesso con il massimo dei voti da Luchino Visconti, nonostante le critiche che Lucio aveva rivolto al filmOssessione. Nel frattempo, scrive perIl Messaggero(come critico d’arte) e filma documentari per il cinegiornaleLa Settimana Incom. Il primo ruolo nella macchina produttiva italiana è quello dello sceneggiatore, per il regista Steno. Si occupa della scrittura del filmL’uomo, la bestia e la virtù(1953) e del personaggio Nando Mericoni, iconicamente interpretato da Alberto Sordi nelle opereUn giorno in preturaeUn americano a Roma. Fulci inizia a firmare le sceneggiature di molti film di Totò, che farà di tutto per farlo esordire come regista, imponendolo ai produttori per la direzione del filmI ladri(1959).Sarà il regista dei musicarelliI ragazzi del Juke-BoxeUrlatori alla sbarra, che lanciano nel cinema Adriano Celentano (Fulci scriverà per lui le canzoniIl tuo bacio è come un rocke24.000 baci). Negli anni sessanta dirige una dozzina di film con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, lanciando definitivamente il duo comico. Alle loro commedie alterna altri generi, dirigendoLe colt cantarono la morte e fu… tempo di massacro(spaghetti-western),Beatrice Cenci(dramma d’autore) e sollecitando le corde dell’erotismo con il filmNonostante le apparenze… e purchè la nazione non la sappia… All’onorevole piacciono le donne. Quest’ultimo sarò fortemente ostacolato dalla censura e dalla Democrazia Cristiana per un protagonista che alludeva troppo al Presidente del Consiglio. Il decennio successivo sarà quello della svolta. Fulci travolge il filone dei “gialli all’italiana”, particolarmente in voga in quel periodo, con il capolavoroNon si sevizia un paperino(1972), film che rinnova elegantemente il genere, nella forma e nel contenuto. Primo lungometraggio ad essere realizzato dalla casa di produzione Medusa Film, che garantisce alle potenzialità innovative del regista un budget adeguato (evento troppo raro nel cinema di Fulci). Agli spettatori verranno mostrate scene di estrema violenza oniriche, sorrette da effetti “speciali” all’avanguardia, e un’ambientazione mai affrontata prima in un thriller; il teatro della macabra storia è un paesino retrogrado del sud Italia, afflitto da una profonda superstizione dove le credenze guidano un sinistro ordine delle cose. Chiunque può essere il colpevole fino alla sconvolgente scoperta del più insospettabile “uomo nero”. L’opera, la preferita del regista ed ispirata ad un reale fatto di cronaca avvenuto l’anno prima a Bitonto, verrà bocciata dai critici (senza troppi sforzi), per poi essere completamente rivalutata nei decenni successivi, anche grazie alle recitazioni di Barbara Bouchet, Tomas Milian e Florinda Bolkan (magistrale nel ruolo di “maciara” uccisa dagli equivoci dell’ignoranza). Successivamente il regista diminuisce i toni violenti e aumenta quelli psicologici con il thrillerSette note in nero(1977). L’opera ha un ritmo inquietante, uno stile raffinato e una suspense claustrofobica, dall’inizio ai titoli di coda. È l’occasione per Fulci di chiudere il suo personalissimo ciclo con il genere, giocando con il pubblico ribaltandone le aspettative sulla visione della protagonista, che solo verso il finale si rivelerà premonitrice. La colonna sonora inconfondibile verrà ripresa da Quentin Tarantino, uno dei tanti registi ammiratori di Fulci, in una scena diKill Bill(2003). Gli anni settanta si concludono con un’altra svolta nella carriera del regista, quella definitiva. Nel 1979 viene chiamato a dirigereZombi 2, che i produttori avevano pensato come una sorta di copia del filmZombidi George Romero. Ovviamente, Fulci ne stravolgerà i connotati. Ancora una volta prende un genere e lo personalizza, reinventandolo e invadendolo con atmosfere e scene di una crudeltà mai vista prima, senza stacchi di montaggio (stuzzicando il voyeurismo dello spettatore). Firma poi la celebre “trilogia della morte” (Paura nella città dei morti viventi,…E tu vivrai nel terrore! L’aldilàeQuella villa accanto al cimitero) con la quale continua a scioccare il pubblico con sequenze splatter estremamente brutali. Con queste opere riduce la logica disegnando trame sempre più surreali e negative, anche grazie al produttore Fabrizio De Angelis che lasciava il regista libero di sperimentare. Lucio diventa il “poeta del macabro” e sarà considerato all’estero (in Italia viene ancora visto come troppo estremo) come un maestro dell’horror di indiscutibile caratura. Negli anni ottanta si destreggia anche nel fantasy e nella fantascienza post-atomica dirigendoConquest(1983) eI guerrieri dell’anno 2027(1984), entrambi “contaminati” da tinte orrorifiche ed ispirati rispettivamente alle pellicole americaneConan il barbaroe1997: fuga da New York. Poi la malattia lo costringe ad allontanarsi dai set per due anni e il suo ritorno non sarà in vecchio stile, spesso a causa del budget troppo basso. L’ultima sua opera degna di nota èUn gatto nel cervello(1990), film delirante in cui Fulci interpreta se stesso perseguitato da incubi che rimandano ai suoi stessi film. Fulci muore nel 1996, per complicanze del diabete, mentre stava lavorando al suo grande ritornocon il filmM.C.D. – Maschera di cera, poi diretto da Sergio Stivaletti. Lucio non si è mai fermato, fino all’ultimo giorno ha fatto l’artigiano del cinema. Esteta geniale, sarà apprezzato negli anni successivi fino a diventare un regista di culto, le cui opere continuano a reclutare seguaci in Italia e all’estero. Un regista che nel cinema odierno, soffocato dalla correttezza dei contenuti e dalla moderazione della forma, servirebbe come l’acqua nel deserto.