SMART WORKING. QUALCOSA NON QUADRA

Una volta si chiamavano “impiegati di concetto” ed erano divisi in 3 categorie, la più alta delle quali preludeva spesso alla dirigenza. E’ questa la figura professionale destinataria dello smart working, nel privato e nella pubblica amministrazione. Da un punto di vista aziendalistico lo smart working dovrebbe rappresentare una specie di El Dorado per i vantaggi che comporta: Azzeramento degli straordinariAzzeramento di mense e spesso dei buoni pastoAzzeramento di tutte le utenzeAzzeramento di varie indennità Ottimizzazione degli spazi aziendaliControllo telematico dei dipendentiControllo elettronico della prestazione A latere una serie di benefici per tutti, come la riduzione del traffico, la disponibilità di parcheggi, il calo dell’inquinamento, il minor affollamento dei mezzi pubblici. Ancora più a latere il trasferimento “sic et simpliciter” di una serie di costi aziendali sul portafogli del dipendente, roba che se non compensata adeguatamente dovrebbe far alzare le barricate ai sindacati e stappare champagne a Confindustria. Eppure buona parte della classe dirigente non vede affatto di buon occhio lo smart working e spinge affinchè tutto ritorni come prima della pandemia. Si può capire il legame affettivo con le scrivanie di mogano, con la kenzia annaffiata dalla segretaria e con l’incessante processione di ossequiosi collaboratori, ma un dubbio sorge legittimo… Non sarà che senza dipendenti intorno risulta molto più difficile giustificare tante posizioni dirigenziali e le relative retribuzioni?