CORONAVIRUS TERZO MONDO. QATAR : LA CONCENTRAZIONE DI CONTAGI PIU’ ALTA DEL PIANETA

Coronavirus nel terzo mondo. Se non fosse stato per Bolsonaro, che ha acceso la miccia in Brasile, forse sentiremmo ancora dire in giro che da quelle parti, cioè in tre continenti, mica se la passano male. Adesso invece un’occhiata almeno all’America Latina gliela devi dare anche se non vuoi. E così ti accorgi che, oltre al Brasile, ci sono pure Perù e Cile che hanno un tasso di contagi che è più o meno il doppio dei brasiliani. Non che questi ultimi non vivano una tragedia, ma il disastro pesa soprattutto in periferia, nelle terre amazzoniche e nelle zone minerarie del nord. E allora il grande capo ce la mette tutta a rendere i dati meno facilmente consultabili. Vuoi vedere che il mondo crederà che dalle sue parti c’è solo qualche raffreddore di troppo? In effetti, Brasile a parte, sono le grandi aree metropolitane quelle che più rischiano di scoppiare, quanto a contagi, nel primo come nel seondo, come nel terzo mondo. Concentrazione di persone, circolazione di merci e di esseri umani che più non si potrebbe. Circola anche una voce, che qualche riscontro empirico lo possiede. Col caldo, il virus circola di meno. Africa: per il momento ipotesi confermata. Infezioni che proliferano quanto più ci si allontana dall’equatore. Al sud, Sudafrica. Al nord, Egitto. Asia, qui non tutto torna. Placatosi il virus dalle parti di Wuhan, spicca il caso indiano e, a seguire, Pakistan e Bangladesh. Ma i conti tornano lo stesso. Con tutti gli abitanti che si ritrovano, finisce che nella media vantano numeri simili alle regioni italiane meno disastrate. Certo dentro alle medie ci sta il più e ci sta il meno. L’India si trova con Delhi e Mumbai che brulicano di infezioni, coi loro 18 milioni e rotti di abitanti a testa. Ma, secondo certuni, se la cercano. Filiassero di meno e si sviluppassero come in occidente. Grazie alle temperature mediamente elevate che si ritrovano non avrebbero di che soffrire. La colpa è solo della miseria e del sottosviluppo. Dimenticavamo un altro angolo del mondo asiatico, nel così detto terzo mondo: i paesi arabi. Perché anche lì il virus non scherza. Eppure c’è benessere, quanto meno secondo coloro che guardano solo al pil, e fa pure caldo. Il benessere deriva dal petrolio, che però determina qualche ingorgo di troppo nel traffico. Mar Rosso, Golfo Persico, sono luoghi parecchio frequentati e il virus trova agevolmente chi lo scarrozza qui e là, ad eseguire il suo compito. Però anche nei paesi arabi bisogna fare dei distinguo. Ci sono paesi, come l’Arabia saudita, che annoverano molti abitanti e molti casi. Ma anche altri paesi petroliferi come Kuwait, Emirati, Bahrain, Oman, Qatar. Abitanti pochi, petrolio parecchio, contagi in quantità esplosiva. Un esempio per tutti, il più drammatico: il Qatar. Poco meno di tre milioni di abitanti, ma secondo solo ai sauditi come contagi. E come abitanti superiore solo al Bahrain tra i paesi appena citati. Contagi ad oggi più di 70mila, più o meno come Olanda e Polonia messe assieme, che di abitanti ne fanno quasi 20 volte tanti, dove fa un tantino più freddo e le aree metropolitane non mancano. Qatar, capitale Doha, 40 gradi all’ombra. Numero uno al mondo nel rapporto tra i contagiati al covid e il numero degli abitanti, con il 2,5% della popolazione infetta. A diversi chilometri dalla capitale, un’area industriale imponente, dove si lavora con ritmi febbrili. Il 2022 ci saranno i mondiali di calcio in Qatar e non bisogna fare brutta figura. Lavoratori, soprattutto immigrati, dall’Africa e dall’Asia sudorientale. Fuori i 40 gradi scoraggiano chi volesse portare la mascherina. Nei luoghi di lavoro, non solo l’industria, ma centri commerciali, uffici e altrove auto, mezzi pubblici, luoghi di svago con aria condizionata sparata a palla. Gli immigrati sono gente sicuramente robusta, ma i dati ufficiali magari li sopravvalutano. Parlano di una sessantina di deceduti in tutto. Forse perché, se muoiono, in pochi se ne accorgono. C’è stato un lockdown anche lì, quando la situazione è esplosa. Con gli operai più o meno malati rimasti chiusi là dentro. Ma forse, mentre scriviamo si è già concluso. Lo spettacolo deve continuare, costi quel che costi. Anche la vita, tanto se muori, chi vuoi che se ne accorga.