SULLA STATUA IMBRATTATA DI MONTANELLI

SULLA STATUA IMBRATTATA DI MONTANELLI

Quando crollarono i regimi comunisti, le statue di Stalin, di Ceausescu e tanti simboli ideologici e politici di quei sistemi furono abbattute. Alla fine della seconda guerra mondiale, in Italia, rotolarono nella polvere i busti di Mussolini. In Irak, dopo l’invasione americana, caddero in pochi giorni in tutta Bagdad le statue di Saddam.D’altra parte, in molti Paesi, furono rimessi al loro posto simboli che rappresentavano un’epoca precedente e un’identità nazionale soppressa, come ad esempio i nomi di città come San Pietroburgo (ex Stalingrado, ex Leningrado) o la statua dell’imperatrice Sissi, in Ungheria: non un simbolo di oppressione dell’impero austro-ungarico, ma di fasti di corte e prestigio imperiale, al netto di povertà del popolo e privilegi nobiliari. L’azione di imbrattare o distruggere simboli di problematiche dolorose, come la schiavitù e il razzismo, è giustificabile quanto la furia popolare contro simboli di regimi sanguinari? Esaltare con il bronzo e il marmo personalità importanti della storia e della cultura, a prescindere da errori anche gravi, contribuisce a rafforzare la memoria di una comunità o ne offende la dignità?Il dibattito sulla vernice rossa sulla statua di Montanelli, di cui è stata proposta anche la rimozione (motivata dal noto episodio del matrimonio giovanile del grande giornalista con una minorenne all’epoca della spedizione nell’Abissinia fascista) ruota attorno a queste domande. Avendo avuto l’onore di conoscere Montanelli, penso che con il suo infinito sarcasmo avrebbe detto che un po’ di vernice rossa, a una certa età, gli sarebbe stata bene addosso: una battuta che forse avrebbe liquidato le polemiche e ridicolizzato i suoi detrattori. Ma le questioni restano e meritano una riflessione.Un monumento dedicato a un personaggio rappresenta una memoria condivisa, un patrimonio storico comune, un omaggio a una personalità che ha avuto un ruolo importante nelle vicende nazionali in vari campi, a prescindere da un giudizio onnicomprensivo sulla sua biografia. La memoria popolare è cosa diversa dall’imposizione di simboli per cementare il consenso forzato dei sudditi. In Russia, nessuno liquiderebbe o imbratterebbe il mausoleo di Lenin, nonostante le pagine buie del leninismo che è comunque cosa diversa dallo stalinismo. Nemmeno il più appassionato meridionalista progetterebbe di imbrattare o distruggere un monumento a Garibaldi o al re Vittorio Emanuele per rancore verso casa Savoia o nostalgie borboniche. La Germania riunificata ha aperto musei di cimeli e simboli della Germania comunista, senza concessioni alla nostalgia, ma per documentare un capitolo della propria storia nazionale.In Francia, nessuno si sognerebbe di buttare via i monumenti a Napoleone, anche se la sua epopea fu segnata anche da crimini e massacri, oltre che da conquiste coloniali e saccheggi del patrimonio artistico dei Paesi conquistati. In ogni caso, é sempre pericoloso scherzare con i simboli essendo collettivi i loro significati. Nessuna maggioranza o minoranza dovrebbe arrogarsi il diritto di stabilire una gerarchia etica o meritocratica, tanto più quando – come nel caso di Montanelli – i meriti superano di gran lunga le presunte colpe o debolezze giovanili dell’individuo. Colpire o negare una piccola parte per il tutto non risponde a un legittimo bisogno di verità e giustizia, ma a un malinteso bagno purificatore, a un’idea manichea di società divisa in buoni e cattivi in cui soltanto purissimi eroi meritano un monumento, come se si trattasse di un processo di beatificazione.