LA BRUTALITA’ DEL NEOFASCISMO

“Ogni relazione interpersonale implica la condivisione di una molteplicitá di stati quali l’esperienza di emozioni e sensazioni sottesi da parallele risposte provenienti dall’interno del nostro corpo descritte come enterocezione. Oggi sappiamo che alcune delle regioni cerebrali coinvolte nell’esperienza soggettiva di sensazioni come il tatto o il dolore o la paura sono attive anche quando tali sensazioni sono riconosciute negli altri. Ne segue che una molteplicità di meccanismi di rispecchiamento sono presenti nel nostro cervello. Questi meccanismi ci consentono di riconoscere gli altri ” (penso ai deboli, ai profughi, ai migranti, ai socialmente indifesi) “e verosimilmente rendono possibile un primo livello di comunicazione interpersonale e di comprensione implicita degli altri.” Gallese (membro del gruppo di neuroscienziati che nel 1992 con Rizzolatti hanno scoperto a Parma I neuroni-specchio) con queste righe di “Lo schermo empatico”, Cortina, mi induce a guardare alla brutalità esibita e ostentata del primo fascismo, dei neofascismi casapoundiani, della xenofobia salvinista con un occhio diverso, per convincermi che probabilmente ogni lotta ideologica è inutile nel contrasto al mito aberrante della cattiveria politica e alla propaganda del primagliitaliani. Si tratta di guardare con occhio diverso a questi comportamenti riconoscendovi anzitutto -per così dire- un deficit di umanitá che si sostanzia in una modalitá di funzionamento cerebrale che inibisce (o non ha sviluppato a sufficienza) la capacitá umana di “sentire” la sofferenza e la debolezza dell’altro, di provare il suo dolore. Il che mi induce a pensare tre cose. 1. La propensione alla violenza e alla sopraffazione dei deboli vanno contenute e rese inoffensive con la legge (e anche con la forza) dello stato democratico perché l’illusione di poter prevalere con le ideologie politiche è condannata all’insuccesso, dal momento che qui non sono in gioco le idee (che sopravvengono a posteriori) ma la capacitá cerebrale di riconoscere, percepire e condividere il dolore altrui, inibiti in chi professa fascismo, razzismo, xenofobia, odio sociale, ecc. 2. A poco (anzi a nulla) serve discutere con Salvini e soci, perché se uno non “sente” non c’è nulla da fare. (Mi viene in mente il passo evangelico “a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”: se hai poca capacitá di sentire finirai per perderla tutta.) 3 Per proteggere la nostra societá dal contagio del fascismo, del razzismo, della xenofobia, della prepotenza sui deboli non dobbiamo in nessun modo accreditare quegli atteggiamenti e comportamenti come avversari, ma considerarli -anche pubblicamente- come “deficit di umanitá”, come patologie mentali ed esistenziali, come malattie sociali che vanno isolate e rese incapaci di offendere ma al tempo stesso combattute con sentimenti e comportamenti GIOIOSI di tenerezza, di simpatia, di comprensione, di com-passione verso OGNI altro e di educazione dei bambini e dei giovani alla BELLEZZA vivificante di questa modalitá di esistenza. Sicchè, infine, mi azzardo a dire (con Primo Mazzolari) che la lotta (e l’odio) sono per il fascismo, il razzismo, la violenza xenofoba, la cattiveria, non per I neofascisti, gli xenofobi, I razzisti, Salvini e I salvinisti. Odiandoli diventeremmo come loro retrocedendo umanamente a livelli più bassi. L’antifascismo, in sostanza, è la fatica per far avanzare l’evoluzione verso livelli più alti di ominizzazione. Non (solo) con le idee ma soprattutto con la potenza del sentimento (che è un evento mentale) e la creativitá della prassi quotidiana, non solo in ambito strettamente politico.