QUESTA JUVENTUS ASSOMIGLIA AL REAL DEI GALACTICOS

QUESTA JUVENTUS ASSOMIGLIA AL REAL DEI GALACTICOS

I bianconeri hanno seguito per anni un modello fatto di acquisti oculati, di compattezza in campo e gioco speculativo. Un modello dove la società veniva prima di tutto. Ora, invece, stiamo assistendo alla Juve di Cristiano Ronaldo, un instant team che raccoglie grandi stelle internazionali dall’ingaggio pesantissimo e l’ego smisurato È un calciomercato curioso e affascinante quello che vediamo e viviamo quest’anno. Perché l’Italia non sembra più periferia dell’impero, grazie a una nuova fiscalizzazione per certi piedi in fuga e perché qualcosa è cambiato nelle proprietà delle big, dal Milan di Elliott, sparagnino ma solido e con gran liquidità alle grandi ambizioni cinesi dalle parti di Appiano Gentile, passando per un salto di qualità di Aurelio De Laurentiis che dopo il top coach sembra essere orientato a scommettere su top player che siano nel pieno della maturità, una Fiorentina in mano a un nuovo tycoon piuttosto folcloristico e a una Roma in piena rivoluzione che potrebbe riscrivere gli equilibri altrui(vedi affare Manolas). Il merito, probabilmente, è stato della Juventus. Due finali di Champions, l’arrivo di Cristiano Ronaldo hanno bilanciato l’aridità a cui ha costretto la serie A con un dominio assoluto e muscolare, a livello sportivo e politico. Se da una parte abbiamo raggiunto il punto più basso della nostra competitività, come campionato e come valori tecnici a livello internazionale, l’ambizione bianconera e una programmazione di alto livello economico e strategico hanno costruito le basi perché il numero 1 (al massimo 2) al mondo volesse provare a compiere un miracolo in terra italica. E proprio nel momento clou, ecco che la Juventus, a suo modo unica nel modello che proponeva, una sorta di mix tra Bayern, per la solidità e la continuità della proprietà, e Atletico Madrid, per il progetto sportivo fatto di oculatezza, compattezza in campo, gioco speculativo e mentalità cannibale e “cattiva”, cambia pelle. Diventa una Real Juve, nel bene e nel male. Una metamorfosi iniziata lo scorso anno, in cui si abbandona il progetto e la sostenibilità per una visione alla Florentino Perez, una squadra digalacticosda dare in consegna a un allenatore funzionale, che accetti la squadra che fanno, in autonomia, ds e presidente. Un allenatore che guadagna meno dei suoi top player e che nutre, forse, verso di loro, pure un certo timore reverenziale visto la sua storia. Lo aveva capitoMax Allegri, che così contento dell’arrivo di Ronaldo non sembrava inizialmente, perché quella campagna acquisti lo aveva riempito di piedi fini e ali, ma lo aveva scoperto dietro e in mezzo, oltre a renderlo più debole dentro lo spogliatoio. Anche se da due anni sacrificava il bello all’utile proprio per ovviare a una rosa eccezionale ma squilibrata (non a caso, l’ultimo Napoli diMaurizio Sarri, anche se ora quest’ultimo nega, perde lo scudetto in albergo a un passo dal traguardo). La società granitica che punisce Bonucci e lo mette su uno sgabello, vende Vidal perché indisciplinato, non ha a cuore le bandiere (vedi Marchisio) ma i bilanci, che “conta solo vincere” e che viene accusata di una linearità persino irritante, ora è diventata caotica, schizofrenica, forse persino imprudente finanziariamente, tra bond di 175 milioni a finanziare un acquisto come quello di Ronaldo che forse si è verificato meno redditizio di quanto credesse, plusvalenze spregiudicate e allenatori commissariati. La Juventus di Andrea Agnelli era quella di Antonio Conte, gagliarda e arrembante, capace di vincere con giocatori anche di medio calibro. Era quella di Marotta, nel bene e nel male dg (e ds) vecchio stampo: conoscitore di calcio, giocatori, trame di potere e relazioni privilegiate, tanto da parlare, in una sessione di mercato, persino del mercato di un’altra squadra. Era la Juve che difendeva i suoi allenatori, che ha sempre fatto quadrato attorno ad Allegri e a quel toscanissimo fregarsene di fronzoli e spettacolo. Era la Juve di Agnelli, Marotta e Nedved, di cui Allegri era espressione e mezzo. Era soprattutto la Juve che superava i suoi limiti o ci andava vicino. Ora è la Juventus di Ronaldo, come era il Real di Ronaldo. È la Juventus che vede Nedved disertare la conferenza (sin troppo retorica per gli inquilini di Continassa e dintorni) di Allegri, dopo la furiosa litigata con Pavel in cui CR7 esonerò il livornese in seguito all’eliminazione in Champions, che commissaria Sarri con il ritorno (con condizioni! Si parla di almeno 8 partite da titolare, per contratto, così che Gianluigi possa almeno raggiungere Maldini come recordman di presenza in serie A) diGianluigi Buffona gestire lo spogliatoio, che forse rivende Bonucci, che manda il nuovo allenatore in Grecia a chiedere il permesso di allenare al re (e a farsi dettare il ruolo da dargli), che appare bulimica sul mercato, tra parametri zero rischiosi per fragilità fisiche (Ramsey) o caratteriali (Rabiot) e ingaggi un tempo inimmaginabili da quelle parti (De Ligt 12, Rabiot 7, Ramsey 10, Ronaldo 31, tutti netti ovviamente). Assomiglia al Real Madrid in cui CR7 esonerava Benitez, sceglieva i coach e i compagni di reparto (pensate a Benzema) e metteva alla porta chi voleva. La Vecchia Signora ha perso, mandandoli via senza troppi complimenti, Marotta e Allegri, gli artefici dei migliori risultati in Champions degli ultimi anni, ha dato molto potere all’ottimo Fabio Paratici – uno che ha talento e competenza, ma che sembra più alla ricerca del colpaccio da mettere in curriculum che della costruzione della squadra -, si muove sul mercato a vista. Tra plusvalenze con società amiche che negli ultimi 13 mesi gli sono valsi un bel +130 milioni di euro (non è l’unica società a farlo, quelle dell’Inter sono ancora più “immorali”, ma certo che lo scambio con il Sassuolo Rodrigo-Demiral alla pari a 15 milioni lascia quanto meno perplessi) e un allenatore annunciato tardissimo, e, a naso, scelto come soluzione di rincalzo, e senza una rotta chiara, come dimostra, ora, la possibile fuga al PSG di Bonucci. Intendiamoci, la Juventus sembra ancora imbattibile, almeno in Italia: Sarri ha dimostrato di saper gestire i campioni e poterci vincere, De Ligt e Chiellini fanno sembrare il vallo di Adriano una ringhiera bassa, Cristiano con Ramsey e Rabiot potrebbe segnare il doppio del gol, Sarri potrebbe consegnare alla squadra un gioco che valorizzerebbe il talento di attaccanti e laterali, che non mancano. Certo Allegri è stato l’unico che ha saputo domare con naturalezza una formazione stellare, piena di equivoci tattici e di caratteri complessi, prendendosi molte responsabilità nello spogliatoio e facendo da parafulmine fuori, difendendo lo stile Juventus anche nelle sue opacità e finendo umiliato, visto che si è visto succedere quel Sarri che ha combattuto, preso in giro, rintuzzato anche per conto della società. Non sembra più una Juve fatta di spartani, gruppo coeso dal campo e dalla scrivania, ma un undici infarcito di stelle, di ego ed egoismi (Paratici, Ronaldo, lo stesso Sarri che come dimostra la storia di Higuain ti abbandona appena gli conviene), esattamente come accade nella prima squadra di Madrid, almeno in questo millennio. Ma è forse questo l’unico modo per vincere: il team all stars, i galacticos, con allenatori che sono più domatori che tattici – lo Zidane di turno, che non ha un gioco riconoscibile ma sa annusare l’11 giusto, perché sa riconoscere i piedi che si parlano -, con debiti monstre che fotografano bene il capitalismo attuale: aperture di credito enormi, liquidità notevoli, debiti strutturali che arrivano vicino al mezzo miliardo (se dobbiamo credere alle purvaghe indiscrezioni di Dagospia), sessioni di mercato che assomigliano a una giostra con porte girevoli che trovano la motivazione in più e meno che devono collimare, a volte con più di una forzatura. È una Juventus più schizofrenica ma anche più coraggiosa, meno ragioniera e più creativa. E se prima comprava spesso a prezzi vantaggiosi, ora spende e spande, se prima disturbava i concorrenti o li depauperava prendendo i loro migliori calciatori (anche grazie a clausole più o meno accessibili), ora sembra aver spostato più in là l’orizzonte, pescando all’estero e non facendo aste “contro”. Se prima voleva vincere per manifesta inferiorità altrui, ora vuole essere la migliore tra le migliori, costi quel che costi. Certo, in questo identikit, Maurizio Sarri non rientra: l’uomo che piega i giocatori al gioco spumeggiante sembrerebbe poco adatto alla nuova veste dei bianconeri, ma potrebbe essere quell’ingrediente originale che rende la ricetta unica e vincente. È una Juventus che, forse, nella sua storia non aveva mai cambiato pelle così. E anche per questo potrebbe finalmente sconfiggere l’ossessione europea e vincere la Champions. Oppure scoprirsi più fragile. Andrea Agnelli potrebbe affermare un nuovo stile Juventus, e l’impressione è che sia in caso di successo che di fallimento, ne vedremo delle belle.