SALVARE VITE IN PERICOLO È DOVERE UMANO

Sono state depositate oggi le motivazioni alla sentenza della Cassazione che hanno sollevato da ogni responsabilità, da ogni colpa Carola Rackete, la capitana della SeaWatchIl giudizio va oltre la conferma del ‘no’ all’arresto di Rackete che era stata accusata dal ministro dell’interno Salvini di aver soccorso i migranti e dopo giorni dopo esser rimasta in balie del mare, di aver forzato il blocco navale imposto da una motovedetta della Gdf.Si era parlato di atto di guerra, di attentato alla sicurezza nazionale tutte motivazioni pretestuose che evidentemente poco hanno a che fare con il diritto. Secondo i giudici legittimamente è stata esclusa la natura di nave da guerra della motovedetta perché al comando non c’era un ufficiale della Marina militare, come prescrivono le norme, ma un maresciallo delle Fiamme Gialle. Dunque Rackete ha agito in maniera “giustificata” dal rischio di pericolo per le vite dei migranti a bordo della sua nave. Ma la sentenza è andata anche oltre perché insieme ad aver ribadito il dovere a salvare le vite umane in pericolo ha definito legittimo e doveroso indirizzarsi verso il porto sicuro più prossimo.La “capitana” della SeaWatch, Carola Rackete è entrata giustamente nel porto di Lampedusa perché “l’obbligo di prestare soccorso non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro”.La Cassazione dunque “chiarisce che una nave non è un luogo sicuro e, tantomeno, il luogo dove si esaurisce l’onere di assistere i naufraghi. Un assunto che è stato violato ripetutamente dalle disposizioni del governo precedente e di questo”.Questo il commento duro della portavoce di Sea Watch Giorgia Linardi, che con la medesima determinazione ha chiesto che si “faccia luce sulla catena di comando per risalire a chi impartì l’ordine di ostacolare l’ingresso in porto della SeaWatch 3”.