BRUXELLES. CONFERMATO PER META’ LUGLIO IL VERTICE DEI CAPI DI STATO E DI GOVERNO

Il tanto atteso summit dei leader dell’Unione europea si terrà, così com’è già stato stabilito, il 17/18 luglio, nella sede del Consiglio europeo a Bruxelles. Il vertice è stato convocato da Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, con l’intento di chiudere la proposta di bilancio pluriennale comune – MFF 2021-2027 – e relativo processo per la ripresa, con quadro finanziario pluriennale. La proposta della Commissione prevede un bilancio settennale dell’Unione dell’ordine di 1.850 mld di euro. Così come riportato anche nei siti istituzionali. Il bilancio a lungo termine, ‘rivisto’ dell’Ue, con 1.100 mld di euro per il periodo 2021/27. E il tanto discusso ‘Next Generation EU’, che dispone un rafforzamento temporaneo di 750 mld di euro, destinati alla ripresa dei paesi più colpiti dalla pandemia. Le aspettative sono tante, se si considera la posta in gioco. Vi sono i 750 miliardi di euro del Recovery Fund, o ‘Next Generation Eu’, destinati alla ripartenza dell’economia dei Paesi membri, duramente colpiti dall’emergenza sanitaria scatenata dal Covid e dal blocco dell’attività produttiva. E c’è il tanto vituperato Mes (Meccanismo europeo stabilità), riformato, ma ancora osteggiato, si direbbe per partito preso, perché il Fondo presenterebbe ancora condizionalità discutibili. In soccorso dei Paesi assediati dal Covid c’è poi la Bce, che sta mettendo in campo tutte le misure di politica monetaria possibili per venire incontro, sul piano finanziario, ai Paesi dell’Eurozona. L’impatto nei vari settori ha scatenato una crisi senza precedenti. Ora si lotta con uno sforzo congiunto, per contenere gli effetti di una recessione che già ad aprile presentava segnali eloquenti, in ogni ambito del tessuto produttivo. L’andamento recessivo dell’economia presenta scenari ad ampio spettro e una sfera d’influenza globale, non riguarda in ogni caso solo l’Ue: in Occidente gli Stati Uniti stanno lottando con tutti gli strumenti finanziari possibili per contenere l’impatto di un’emergenza che ha messo a ferro e a fuoco tutto il sistema sanitario, di per sé non solidissimo. Gli Usa hanno a che fare con oltre 2.300.000 contagi, e una tragedia in termini di vittime che va oltre i 120mila decessi. L’intero pianeta è coinvolto tuttavia in questa lotta impari con un microrganismo invisibile e micidiale, che è riuscito, nel volgere di pochi mesi, a mettere in ginocchio l’Umanità. Si tratta di una sfida che richiede mezzi di notevole consistenza anche sul versante economico. Per questa drammatica contingenza le Istituzioni Ue hanno movimentato tutte le risorse finanziarie in grado di sostenere gli sforzi dei Governi centrali, coinvolti come non mai, scaraventati in una trincea che ha i connotati di una guerra con un nemico invisibile, ma presente e insidioso. L’incontro tra i leader (l’ultimo virtuale, il 19 giugno) per quel che concerne la spartizione delle risorse definite in via preliminare nel maggio scorso, ma non definitiva, non si presenta con i migliori auspici, nonostante quelli più moderati e inclini all’accordo stiano ‘tessendo’ intese sul piano informale per rendere più disteso il prossimo meeting di luglio. Ci sono stati incontri tra Macron e Merkel, entrambi favorevoli ad una risoluzione in tempi brevi della questione Recovery Fund, e fra i due fa da spalla il premier italiano Conte, che preme per un’intesa, la più compatta possibile, ma soprattutto non vorrebbe cedere nulla dei 172 mld che sono stati, al momento virtualmente, assegnati all’Italia. Favorevole anche la Spagna e in generale tutti i leader rappresentanti dei Paesi del sud Europa. Ma gli scogli esistevano già in sede di proposta in questo ambito, e i Paesi interessati del Nord non hanno alcuna intenzione di arrivare ad un compromesso che non tenga conto delle loro condizioni. Nessun cedimento si prospetta in questo versante. I nodi sono ben noti, e vengono tutti dal Nord Europa, in particolare dai Paesi Bassi, ma non è affatto ‘permissiva’ neppure l’Austria col suo dinamico e inflessibile premier, Sebastian Kurz. Quest’ultimo appoggia la sponda olandese e insieme sono uno zoccolo durissimo, una frontiera nella prospettiva di un accordo che non sarà facile attraversare. E non sono gli unici paesi a fare fronte comune contro la strategia del Recovery Fund: c’è anche la Finlandia, la Svezia e la Danimarca, e alcuni Paesi dell’area Visegrad, Ungheria in primis. Per la loro linea di tendenza all’austerity, sono stati definiti ultimamente ‘i frugali’. Sono leader che non sarà semplice ‘scalzare’, anche se Charles Michel, il Presidente belga del Consiglio europeo, invita al compromesso e al dialogo. Sono Paesi che ostacoleranno con fermezza l’accordo, dato che, secondo le loro convinzioni, i 750 miliardi non sono una lotteria, sarebbero anzi eccessivi quanto a risorsa resa disponibile. Affermano compatti che ai Paesi più colpiti dal Covid ‘servirebbero prestiti e non finanziamenti a fondo perduto’. I soldi dell’Ue, secondo i ‘dissenzienti’, devono essere concessi con precise garanzie, e non distribuiti con la logica della ‘filantropia’. Insomma, è necessario rendere il Recovery Fund più leggero, e fissare precise condizionalità. La premier socialdemocratica finlandese, Sanna Marin, ha chiesto alla Commissione una nuova proposta, più vicina agli intendimenti delle nazioni del Nord, che sia presentata prima del vertice dei 27, questa volta dal vivo, e non virtuale, che si terrà, come già premesso, il mese prossimo a Bruxelles, al fine di definire meglio la quantità delle risorse e le modalità con cui saranno distribuite. “Se non ci sarà una proposta più ‘soft’ – fanno sapere i Paesi ‘ostruzionisti’, non potrà avere luogo il summit.” Proprio in una dichiarazione scritta dei paesi più rigoristi, con il Cancelliere Kurz in prima fila, si legge: “Non si può concordare su qualsiasi strumento o misura che abbia come obiettivo la mutualizzazione del debito o un significativo aumento del bilancio dell’Ue”. E’ il contrafforte che si oppone ai disegni distensivi di Francia, Germania e Italia, che premono per una conclusione dell’accordo entro agosto. A tentare di riportare distensione ci ha pensato il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, il quale ha assicurato che nelle prossime settimane sarà presentato un nuovo piano. Dal suo versante, il presidente del Parlamento europeo, Davide Sassoli, ha avvertito che la proposta della Commissione “costituirà la base di partenza, ma al di là di questo non si sarà un solo passo indietro.” Le due ‘anime’ del Recovery Fund in definitiva restano arroccate nei loro avamposti. Nel corso degli ultimi colloqui, fino ad ora, quel muro appare meno ostico, e tuttavia c’è la disponibilità al dialogo, ma dopo ogni vertice, ognuno torna nella propria roccaforte d’intransigenza. Non resta che auspicare un clima più compatibile con la situazione da ‘day after’ che sta affrontando l’Europa. Certamente le divisioni e l’inflessibilità non aiutano ad abbattere le distanze, e soprattutto ritardano lo start della ripartenza, i tempi sono fondamentali allorché la congiuntura economica presenta un quadro d’interventi adeguati all’emergenza. In questo periodo, Michel ha organizzato una serie di contatti ‘preparatori’, con i premier dei Paesi membri; la sua agenda è fitta di colloqui. Prevista anche una videoconferenza con il premier italiano, Giuseppe Conte. Proprio Conte questi giorni invia messaggi eloquenti ai Paesi ‘rigoristi’ dell’applicazione integrale del Recovery. Il premier italiano chiede la definizione a luglio dell’intero pacchetto di proposte e bilancio, per evitare slittamenti e proroghe che andrebbero a danno di tutti. Gli interventi del Fondo, limitati ai soli prestiti, secondo il fronte compatto delle autorità italiane in Ue, porterebbe nella ripresa conseguenze asimmetriche per quel che concerne il debito dei singoli Stati, e diventerebbe poi più costoso per l’Unione stessa. Il Fondo del resto è stato voluto dalla Commissione proprio con l’obiettivo di sostenere i Paesi e le regioni più colpiti dalla pandemia. Qualche timido cenno d’intesa, sembra ogni tanto affiorare dai confronti, ma non è scontato che il summit del 17 luglio sancirà la fine di questa dura divergenza, con il sospirato accordo tra i Ventisette. C’è intanto un vigoroso pressing delle Istituzioni europee, che chiamano al senso di responsabilità, visto il drammatico momento. Chi vede sempre un raggio di luce in prospettiva, è la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. In una recente conferenza stampa ha dichiarato di avere fiducia in quanto in una prima discussione preliminare, la tendenza è stata quella di collaborare affinché entro l’estate si raggiunga un accordo definitivo sulle questioni più urgenti che presenta l’emergenza.