MONDIALI CON GARBO. ARGENTINA MIRACOLATA, MA IL PROBLEMA NON PUO’ ESSERE MESSI

Ora abbiamo le idee più chiare. La chiusura della fase a gironi ha emesso i primi verdetti e confermato le impressioni ricavate all’inizio dei Mondiali di Russia. Una considerazione, tanto per cominciare: il Var ha evitato una ventina di errori ed è stato usato in modo diverso da come era stato sperimentato nel campionato italiano. Gli arbitri si sono affidati alla tecnologia con minor frequenza e solo in casi clamorosi, trovando le risposte che cercavano. Ora c’è da augurarsi che anche l’Uefa adotti il Var nelle competizioni europee per evitare che certe squadre (Real Madrid, tanto per non fare nomi) continuino a far man bassa di coppe anche grazie alla “benevolenza” dei direttori di gara. Il fatto più eclatante della prima fase dei Mondiali è sicuramente l’eliminazione della Germania campione in carica. Una maledizione che si ripete da 8 anni: è capitato all’Italia a Sudafrica 2010, alla Spagna a Brasile 2014 e ora ai tedeschi, che sembravano immuni da queste debolezze, visto che finora avevano sempre superato la fase a gironi. A farli fuori è stata la Corea del Sud, che era già eliminata, ma ha giocato una partita vera contro una squadra che non era più tale, bensì una sorta di armata Brancaleone. Il CT Joachim Loew, acclamato come un eroe dopo il trionfo di quattro anni fa, è diventato improvvisamente un incapace. Del resto l’equilibrio non è la dote migliore degli appassionati di calcio. Loew ha commesso lo stesso errore di Bearzot, che ai Mondiali di Messico ’86 non riusciì a lasciare a casa i trionfatori di Spagna ’82, e di Lippi, che fece altrettanto nel 2010 con chi aveva alzato la Coppa del Mondo quattro anni prima a Berlino. E’ in fondo una debolezza umana e comprensibile, si chiama debito di riconoscenza. Ma è strano che nessuno riesca a imparare la lezione, ormai chiarissima: nel calcio non può esistere la riconoscenza perchè quello che si è fatto ieri non conta nulla, conta solo quello che si fa oggi. Tutto qui. La Germania vista in Russia non era più una squadra, ma un insieme di giocatori presuntuosi e appagati, che forse incosciamente non vedevano l’ora di andare in vacanza. Detto questo, mi aspettavo che uscissero allo scoperto tutto i gufi che hanno fatto il tifo per l’eliminazione della Germania. Un atteggiamento che ha mescolato sport e politica in dosi variabili e che non condivido. Mi spiego: i tedeschi non sono simpatici per un sacco di motivi, che non serve stare qui a ricordare, ma quando si parla di sport bisogna togliersi il cappello: sono degli avversari durissimi, dei combattenti irriducibili, ma sanno anche essere leali e riconoscere il merito dell’avversario. Chi dimentica questo, contraddice una delle leggi fondamentali dello sport: rispettare sempre chi vince e chi perde. Perchè la vittoria e la sconfitta sono due facce della stessa medaglia. I tedeschi sanno perdere, fare tesoro dei propri errori e rinascere. Sono certo che tra due anni, ai Campionati Europei, li ritroveremo grandi protagonisti, mentre non sono sicuro di poter dire la stessa cosa dell’Italia. E ora il domandone che si fanno tutti, mentre sta per prendere il via la fase più entusiasmante, quella a eliminazione diretta in cui non si possono più fare calcoli: chi vincerà i Mondiali ? Vista la mia già ampiamente compromessa reputazione, mi sbilancio, indicando una rosa di squadre dalla quale ritengo possa uscire il prossimo campione del mondo. Allora dico, in ordine sparso: Uruguay, Croazia, Brasile, Belgio, Inghilterra, Francia e Spagna. L’Uruguay è impressionante per la solidità, dimostrata dal fatto che è l’unica squadra a non aver incassato ancora un gol. E davanti Cavani e Suarez possono far male a chiunque. La Croazia ha il centrocmapo migliore in assoluto: Modric, Rakitic e Brozovic costituiscono un reparto in grado di decidere qualsiasi partita. L’unica incognita è che sono slavi e quindi non sempre affidabili al cento per cento. Il Brasile è partito piano, Neymar è in ritardo di condizione, com’è normale per uno che è reduce da un infortunio che lo ha tenuto per mesi lontano dai campi di gioco, e poi manca una prima punta convincente. Però il gruppo sta crescendo partita dopo partita, la qualità non fa difetto in nessun reparto e la mentalità è quella della grande squadra. Il Belgio non ha forse rivali dalla cintola in su: De Bruyne, Ferreira Carrasco, Mertens, Hazard e Lukaku fanno paura a qualsiasi difesa e il CT Martinez ha saputo costruire una squadra equilibrata, con un grande portiere come Courtois. L’Inghilterra è giovane e ricca di talento, con un fenomeno in attacco che risponde al nome di Harry Kane. E’ una squadra poco inglese, ottimamente gestita dal CT Southgate che le ha dato un’identità precisa. Sottovalutarla potrebbe essere letale. Un discorso simile vale anche per la Francia, una formazione ricca di giovani di qualità che potrebbe essere la grande favorita degli Europei del 2020. Le manca solo un leader, un giocatore capace di prendere per mano la squadra, per il resto può giocarsela con chiunque. La Spagna aveva suscitato una grande impressione nella prima partita col Portogallo, finita in parità solo perchè dall’altra parte giocava il fenomeno Cristiano Ronaldo, capace di mettere a segno una tripletta. Poi la Roja si è un po’ smarrita, qualificandosi agli ottavi senza entusiasmare. Forse il pasticcio dell’esonero del CT Lopetegui alla vigilia del debutto, per aver firmato un contratto col Real Madrid, ha complicato le cose. Anche perchè al suo posto non è stato nominato un allenatore, ma un dirigente, Fernando Hierro, ex grande difensore proprio del Real, che si trovava in Russia col ruolo di team manager. Ma quanto a cultura calcistica e mentalità, sicuramente la Spagna non è seconda nessuno. Delle grandi o presunte tali ho lasciato fuori il Portogallo e l’Argentina. I lusitani, campioni europei in carica, sono troppo Ronaldo-dipendenti, ma attorno al fenomeno si muove una squadra complessivamente modesta. Tuttavia sembra una situazione per certi versi simile a quella dell’Argentina, che nel 1986 in Messico si arrampicò sul tetto del mondo contando sulle magie di quel fuoriclasse assoluto come Diego Armando Maradona. E veniamo all’Argentina, promossa agli ottavi per il rotto della cuffia. Con un CT come Sampaoli di fatto delegittimato dai senatori (clamorosa l’immagine del selezionatore che esulta in perfetta solitudine al gol qualificazione di Rojo contro la Nigeria, mentre il resto della squadra gli rimane a distanza di sicurezza), l’albiceleste si trova in regime di autogestione, non esattamente la situazione migliore in um mondiale. Il problema dell’Argentina non è evidentemente Leo Messi (chi lo sostiene dovrebbe farsi vedere da uno bravo), ma la clamorosa carenza di talento di una squadra in cui ci sono giocatori che faticano a completare due passaggi di fila. Già eliminare la Francia negli ottavi sarebbe un risultato da incorniciare. Ogni tanto qualche buontempone ritira fuori discorsi strampalati sull’Italia, ricordando che la Svezia, tanto sbertucciata dopo averci sbattuto la porta del mondiale in faccia, ha vinto il girone della Germania e potrebbe approdare addirittura ai quarti a spese della Svizzera. Personalmente continuo a pensare che sia stato un bene rimanere a casa, nonostante il nostro calcio non stia facendo molto per risolvere i problemi strutturali che ci hanno portato a questo fallimento, ma ritengo anche che la nostra nazionale avrebbe avuto grossi problemi a battere squadre come Iran, Marocco, Corea del Sud, Senegal, Polonia, Serbia, Nigeria e Perù, tutte eliminate nella fase a gironi. Un’ultima considerazione: il calcio africano esce ancora una volta bocciato dai mondiali. Ogni volta ci si aspetta che possa essere l’anno giusto per l’esplosione di una nazionale del Continente Nero, ma poi puntualmente non accade nulla. Il calcio africano ha doti fisiche superiori, ma evidentemente sconta una carenza di cultura tattica e di talenti che gli impediscono di primeggiare ai massimi livelli. L’ultimo ad arrendersi è stato il Senegal, giunto a pari punti col Giappone, con la stessa differenza reti e la stesso numero di gol realizzati, ma penalizzato dal maggior numero di ammonizioni rispetto ai nipponici. Insomma il Giappone è passato grazie a due gialli meno del Senegal ! A parte la battuta pessima, questa discriminante si presta a qualche comportamento poco sportivo (contro la Polonia il Giappone ha “difeso” la sconfitta, riunciando a giocare nell’ultimo quarto d’ora per evitare il rischio di subire ammonizioni), ma è pur sempre un criterio oggettivo, preferibile alla soluzione odiosa del sorteggio.