ASSELBORN SBATTE IN FACCIA LA REALTA’ A SALVINI

Sono molti di più gli italiani che, ogni anno, lasciano l’Italia per andare a cercare fortuna all’estero (oltre 250.000 l’anno scorso), rispetto agli immigrati extracomunitari che varcano i confini del nostro paese. Nel 2018, siamo ancora un paese di emigrazione, più che di immigrazione. “In Lussemburgo, caro signore, avevamo migliaia di italiani che sono venuti a lavorare da noi, dei migranti, affinché voi in Italia poteste avere i soldi per i vostri figli”. Quando Jean Asselborn, membro del Partito operaio socialista e Ministro degli Esteri lussemburghese ha risposto così a Salvini, che seguitava a berciare di “nuovi schiavi importati dall’Africa”, ha semplicemente esposto un dato di fatto: eravamo e siamo ancora un paese di emigrazione. L’emigrazione degli italiani (specialmente dal sud, ma anche, ad esempio, dal leghistissimo Veneto) è stata la più imponente dello scorso secolo e di tutta l’era moderna.Più di VENTIQUATTRO MILIONI di italiani, a partire dal 1861, espatriarono in cerca di fortuna. Ma non ci piace sentircelo dire, perché la nostra era ed è una migrazione “regolare”, “giusta”, quella degli altri no. E non ci interessa sapere che noi, da europei, possiamo andare legalmente in tutta Europa e, volendo, richiedere un visto per quasi tutto il mondo, mentre loro non godono di questo privilegio. Non ci interessa sapere che, se sei somalo, eritreo, siriano e via dicendo, semplicemente NON PUOI richiedere un visto, devi per forza emigrare illegalmente altrove e poi richiedere asilo o protezione. A noi piace pensare che i nostri emigranti fossero tutti provvisti di documenti regolari (cosa peraltro falsa, la gran parte degli italiani non aveva con sé neanche un documento) e che andassero a lavorare duro e a portare prosperità in giro per il mondo (oltre a qualche trascurabile fenomeno come la mafia e la camorra, ovviamente), mentre gli altri non debbano avere diritto di fare ciò che facevano e che facciamo tuttora abitualmente noi. Anche perché, se lavorano, diciamo che “ci rubano il lavoro”.E se vengono sfruttati, ovviamente, la colpa non è degli italiani che li sfruttano, ma di chi li ha fatti entrare quando scappavano da guerre, fame, dittature, miseria. Asselborn ha pienamente ragione, solo che a noi non piace ammetterlo, perché ci dà fastidio, quindi ci lanciamo in distinzioni di lana caprina tra “noi” e “loro”, su quanto “noi” fossimo diversi e migliori di “loro”. Ma non è affatto così.Tutto quello che oggi noi diciamo degli immigrati è già stato detto (e spesso viene ancora detto, anche se non ci piace saperlo) degli italiani, in qualche altro posto del mondo. Asselborn ci ha semplicemente sbattuto in faccia la realtà: siamo convinti che tutto ciò che vale ed è sempre stato valido per noi non debba esserlo per gli altri.Siamo convinti che sia un diritto inalienabile dei nostri giovani emigrare, se qui non trovano lavoro, ma se qualcuno, da qualche altra parte del mondo, vive sotto una dittatura, è giusto che rimanga lì dov’è. Siamo convinti che i nostri emigranti, quelli partiti con una valigia di cartone e spesso completamente analfabeti, avessero il diritto divino di andare via da qui e contribuire sostanzialmente a rendere l’Italia quella che è oggi, grazie al denaro che ci spedivano dall’estero, mentre lo stesso diritto non debba essere concesso agli altri. Ha ragione Jean Asselborn.Potrà darvi fastidio quanto volete, ma è così. Noi eravamo “loro”.Noi siamo ancora “loro”.