L’UNITÀ. QUANDO I GIORNALI STAVANO DENTRO LA VITA E LA PASSIONE DI TANTE PERSONE

L’UNITÀ. QUANDO I GIORNALI STAVANO DENTRO LA VITA E LA PASSIONE DI TANTE PERSONE

La decisione di Maurizio Belpietro di firmare per un giorno l’”Unità” ha suscitato la protesta di tanti e in particolare dei giornalisti di quel giornale, che vivono sulla propria pelle la sciagurata gestione dell’ultima stagione. Ma in questi giorni si è scoperto che dietro le quinte si muovono diversi possibili acquirenti pronti ad investire molte migliaia di euro per acquisire la testata di un giornale, che non esce da anni. Il perdurante interesse commerciale muove dal fascino che quel nome ancora suscita e da una ragione che può apparire inspiegabile per i giovani d’oggi. C’è stato un tempo nel quale ai giornali, a tutti i giornali, ci si affezionava: erano parte della vita di chi li comprava. Un legame speciale riguardava i giornali di partito, alcuni dei quali erano ben fatti (La Voce Repubblicana, il Popolo, il Secolo d’Italia), mentre altri come l’Unità e l’Avanti! nel secondo dopoguerra vendevano come e più di quasi tutti i quotidiani indipendenti. Perché erano giornali fatti benissimo, ma soprattutto perché furono impagabili strumenti pedagogici, nutrirono passioni, dai primi del Novecento migliaia e migliaia di militanti socialisti e comunisti si alzavano all’alba della domenica per distribuire i propri giornali. Un bene immateriale e lontanissimo ma arrivato sino ad oggi e che spiega l’inspiegabile: come mai ci sia ancora chi è interessato a comprare un giornale con un nome apparentemente così anacronistico.