SI APRE UN TRATTATIVA COMPLICATA PER CONTE IN EUROPA
Salvini, a sentire le sue dichiarazioni, sta aspettando la letterina di Babbo Natale ma, per non sapere né leggere né scrivere lui e Di Maio una trattativa con Bruxelles affidata a Conte e Tria la hanno avviata: non avevano scelta perché, nonostante le dichiarazioni sprezzanti, al limite del bullo, la preoccupazione per i parametri economici è realmente sentita nelle file della maggioranza e del Governo, specialmente dal lato leghista della barricata, apparentemente più consapevole dei rischi e con la necessità di rispondere politicamente al tessuto produttivo del nord Italia, particolarmente attento alle questioni economiche. Oltre al dato dello spread, ritornato negli ultimi giorni fortemente sotto pressione, quello che ha fortemente alzato il livello di guardia nell’esecutivo è stato il “flop” dell’ultima collocazione di titoli di stato sul mercato, quando a fronte di una aspettativa fra i 7 e i 9 miliardi, sono stati collocati sul mercato solamente 2.1 miliardi di titoli a 4 anni. Segnale molto preoccupante: al di là del costo in interessi derivante dallo spread, se la difficoltà a piazzare titoli sul mercato dovesse continuare, si prospetterebbe un 2019 con grossi problemi di liquidità per le casse dello Stato, eventualità da scongiurare in ogni modo. Conte si è presentato all’appuntamento con Juncker fiducioso, del resto ha sempre dichiarato che sarebbe bastato “spiegare la manovra all’Europa” per vincerne le resistenze. Il premier si era in effetti detto pronto a “trattare ad oltranza” per scongiurare la procedura d’infrazione da parte europea. Questo non tanto per ciò che comporterebbe in termini di sanzioni, quanto per il messaggio che passerebbe sui mercati e la conseguente possibile sfiducia degli investitori nei titoli italiani. A quanto emerge dai resoconti dell’incontro tuttavia, la trattativa ha incontrato fin da subito diverse difficoltà: Juncker, evidentemente affatto tranquillizzato dal progetto espostogli da Conte, ha posato sul tavolo due questioni di difficile, se non impossibile, digestione per le forze di maggioranza. In primo luogo, quel 2,4% di rapporto debito PIL che, secondo l’Europa, dovrebbe essere necessariamente limato di almeno un buon 0,4%. Conte e Tria su questo non hanno mandato a trattare, motivo per cui dovranno riportare la richiesta per la decisione di Salvini e Di Maio (e questo di per se la dice lunga su quanto Premier e Ministro dell’Economia siano con poteri limitati nell’esecutivo). Difficilmente tuttavia i due leader di maggioranza potranno accettare una richiesta che, al di la dei dati numerici sotto forma di miliardi di riduzione della manovra, significherebbe una abiura completa dei master message lanciati in questi mesi. Dopo “la notte del balcone” i 5 Stelle vedono ormai quel 2.4 come una line del Piave su cui non cedere. Sarebbe semmai eventualmente ipotizzabile lo storno di una parte, qualcosa intorno ai 2-4 miliardi dei fondi destinati ai provvedimenti spot (reddito di cittadinanza e quota 100) su provvedimenti differenti, più indirizzati alla crescita. La seconda questione è meramente politica: l’Europa chiede la fine degli attacchi diretti dei due vice-premier alle proprie istituzioni. Anche questo aspetto significherebbe una rivoluzione linguistica degli attuali esponenti di maggioranza che, difficilmente potrà essere digerita. Con queste basi, la trattativa parte da una posizione di estrema difficoltà, specialmente perché la linea di fermezza con l’Italia, prima ancora che dalle istituzioni europee, è tenuta dai governi europei in maniera molto compatta, con in prima fila proprio quelle nazioni che Salvini aveva identificato come amiche, Ungheria e Austria in testa. C’è in ogni caso da augurarsi che, in qualche modo, le posizioni si avvicinino e la trattativa si compia: i segnali negativi e premonitori di seri problemi finanziari iniziano ad essere numerosi: da ultime le stime di Goldman Sachs sulla crescita del Pil per il 2019, posta solo allo 0,4% su base annua, e le dichiarazioni di Moody’s con cui preannuncia la possibilità di un ulteriore abbassamento della valutazione italiana in caso del protrarsi delle tensioni finanziarie sul Paese. Il tutto con nello sfondo il già previsto termine a breve del quantitative easing da parte della BCE. Con questo panorama all’orizzonte, una tregua sul fronte europeo sembra quantomai necessaria.
