COSA CI INSEGNANO LE ELEZIONI GRECHE?
Le cose sono complesse, maledettamente complesse.Soprattutto se non vuoi semplicemente amministrare quello che c’è (che già è un’arte), ma trasformarlo alla radice.Le elezioni greche, se ci disponiamo a leggere la realtà senza paraocchi, ci consentono di fare molte riflessioni. Ne propongo qualcuna, consapevole dei limiti di questo spazio. 1. La più generale, banale ma bene ripeterselo, perché vale per tanti paesi. E’ democrazia questa? Sono “democratiche” elezioni in cuia) vota poco più di un cittadino su 2;b) ci sono sbarramenti al 3% (o al 4% etc), che impediscono che sia rappresentato chi vota partiti piccoli (a sto giro in Grecia l’8% dei votanti ha visto “sfumare” il proprio voto);c) ci sono premi di maggioranza enormi (per cui Syriza che fa il 31% prende 86 seggi, e Nea Demokratia che fa il 39% ne prende 158, quasi il doppio)? Questi sistemi mediatici ed elettorali, in nome della “governabilità” voluta dal neoliberismo, stanno producendo parlamenti poverissimi e l’esclusione delle persone, soprattutto delle fasce più popolari, dalla partecipazione.Aver ben presente questo punto è utile perché ci impedisce di farci illusioni sul parlamentarismo, ci spinge a pensare forme di azione e organizzazione adatte a un’epoca di profonda crisi della rappresentanza, in cui bisogna motivare chi resta ai margini, ci porta a fare battaglia per un sistema proporzionale puro. 2. Leggo che qualcuno dice che Tsipras ha perso per la querelle sul nome della Macedonia! Repubblica porta avanti questa tesi, per dire che l’austerità non c’entra nulla, ma anche alcuni compagni filo-Tsipras che ancora lo difendono in maniera acritica…La verità purtroppo è banale: Tsipras perde perché non ha fatto quello che aveva promesso, perché la gente in Grecia non sta meglio di prima, perché non ha allargato i suoi consensi nelle fasce popolari, che o non vanno a votare o tornano a votare per un classico partito di potere, perché non è riuscito a far crescere la loro consapevolezza, perché su molti temi è stato uguale agli altri. E a quel punto meglio votare il Berlusconi di turno, quella Nea Demokratia che promette evasione fiscale e taglio delle tasse, che raccatta voti con soldi e clientele… Tsipras nel 2015 pensò di poter gestire l’austerità accettando il memorandum e poi facendo una battaglia punto per punto sperando che nel frattempo in Europa qualcosa cambiasse, con la crescita di Podemos e di altre forze che avrebbero potuto aiutarlo.Quella scelta si è rivelata subito sbagliata: proprio il cedimento di Tsipras rafforzò simbolicamente e materialmente l’UE, giocò contro quelle altre forze, lo trasformò in un politico “normale”. E infatti Syriza ha semplicemente preso il posto che era del Pasok, e piace tanto a quelle stesse istituzioni che diceva di combattere. 3. D’altra parte sbaglia pure chi la fa facile e dice che Tsipras doveva uscire dall’Europa, chi rappresenta una situazione per la quale ai tempi dell’OXI c’era un popolo in armi che aspettava solo un “via” e poi è stato “tradito” da chi era alla sua testa.Noi siamo stati in Grecia in quei giorni, e vi assicuriamo che la realtà purtroppo è più complessa.E lo dimostrava già il voto del settembre 2015, in cui Tsipras aveva perso qualcosa ma aveva confermato la sua vittoria nonostante il memorandum. E soprattutto il fatto che nessuna forza alla sua sinistra, né i comunisti anti-UE del KKE, né i movimentisti di Antarsya, né le scissioni di Syriza, abbiano intercettato nulla, né a settembre del 2015 né ora.Syriza con il suo 31,5 tiene, mentre le altre forze escono fuori ridimensionatissime. Il KKE sempre fermo al suo bacino elettorale che a poco a poco si consuma, le scissioni di Syriza insieme non arrivano al 2%, lo stesso pompatissimo Varoufakis a stento supera il 3% (come ha dimostrato bene Marco Santopadre). Se davvero ci fosse stato un livello di coscienza e di organizzazione atto a sostenere la “rottura” con l’UE, l’opzione “sovranista” e quella “disobbediente” non avrebbero preso così pochi voti. Così come non avremmo avuto la morte delle piazze e dei movimenti. Certo la disillusione fa tanto, ma appunto: fa tanto su un popolo disorganizzato, in preda a flussi di emotività, che ha giocato la carta di Syriza perché era quella che restava, come ultimo tentativo dopo anni di mobilitazioni. Non su un popolo che è consapevole e che quando tira scavalca anche le dirigenze opportuniste.Difficile dire come sarebbe andata se Tsipras fosse uscito dall’UE: forse avrebbe fatto la fine di un Allende o peggio di un Masaniello, sconfessato dal suo stesso popolo, con le classi lavoratrici europee (tranne noi pazzi ovviamente) che stavano a guardare – perché la Grecia faceva simpatia, ma da qui a muovere il culo ce ne passa… Perché, come mi disse un compagno greco: “ci vai tu a fare la requisizione di benzina per le ambulanze?”, “pensi che abbiamo avuto il tempo in questi pochi anni di costruire le squadre per il controllo del territorio, per fronteggiare i fascisti e l’esercito che l’UE ci scatenerebbe contro, come in Ucraina?” 4. E qui veniamo a un punto importante che riguarda anche le ultime elezioni europee. Ovvero: ma le persone vogliono davvero rompere con questo sistema? Perché qualcuno in questi anni, vedendo le percentuali di crescita di Podemos, Syriza, France Insoumise, ha pensato che quei voti erano anticapitalisti. Forse perché per lui l’anticapitalismo è in realtà un po’ di socialdemocrazia: redistribuzione della ricchezza, diritti civili etc…Io credo che molti abbiano votato queste forze, come in Italia hanno votato i 5 Stelle, sperando che facessero quello che la sinistra tradizionale non faceva più perché troppo invischiata con il potere. Tutto qui.Non volevano rompere, al di là della rabbia del momento, per costruire un futuro che è sempre incerto. Volevano il mondo che c’era prima. Quel mondo in cui si mangiava un po’ tutti, in cui avevamo qualche piccola speranza, non troppe, in cui potevamo conservare la nostra posizione.Questo elettorato, se messo nella condizione di scegliere fra l’incerto e l’accettare qualche altro sacrificio (“tanto ormai…”), sceglie ancora la seconda.Questo elettorato è quello che ha abbandonato a questo giro Podemos o La France Insoumise perché troppo radicali, perché alla fine se nel campo del centrosinistra esce fuori qualcosa di vagamente presentabile (Sanchez del PSOE, i Verdi), torna nel tradizionale spazio politico.Non c’è da amareggiarsi per questa constatazione: veniamo da 40 anni in cui ti dicono che non c’è alternativa al capitalismo, e in cui contemporaneamente soffri per il capitalismo. Quindi che fai? O voti la destra che ti promette una sorta di protezione/tradizione/sicurezza o chi credi che possa gestire il capitalismo senza farti troppo soffrire. La cosa paradossale, alla fine, è che il popolo vota chi li ha portati in questa situazione (fu Nea Demokratia a truccare i conti all’epoca dell’entrata nell’euro, e poi a gestire l’austerità).La cosa paradossale è che Tsipras, in teoria anticapitalista, ha rimesso a posto molti parametri macroeconomici capitalisti, e ora i capitalisti greci possono tornare e avere più margini di spesa, accentuando ancora di più privatizzazioni e sconti ai ricchi. Il cappio che Tsipras si è tolto è il cappio che lo aveva già stritolato. Non dico tutto questo per avvilirci ma perché dobbiamo avere presente che le cose sono complesse e fare tesoro di quanto accaduto.Non ci sono scorciatoie per cambiare questo sistema. Non c’è marketing comunicativo o leader che tenga. E nemmeno parole d’ordine astratte che poi non si è in grado di far vivere.C’è soprattutto da fare un lavoro capillare di formazione del nostro popolo, di radicamento territoriale, di presenza sui posti di lavoro, costruire organi di informazione per sottrarre le masse alla propaganda. C’è da togliere illusioni, proponendo allo stesso tempo cose concrete, fattibili. C’è da darsi tempo. Io non credo che questa constatazione ci porti – come teorizzano alcuni, per i quali l’errore di Syriza sta nello stesso fatto di essere andati al governo – a dover fare per i prossimi dieci anni un lavoro di semplice testimonianza.Se si crea l’occasione, va colta, e fece bene Syriza nel 2014 a provarci, a verticalizzare. Aprire lo scontro con l’UE fece prendere coscienza a milioni di proletari europei della natura di questa istituzione. Aver posto, almeno potenzialmente, il tema della rottura con il capitalismo, fu una boccata d’aria. Bisogna provarci, perché tanto lo spazio sarà sempre stretto e perché non sai cosa può accadere, che forze puoi suscitare. Ma conta molto come ci arrivi all’occasione. Non devi mai illuderti sulla situazione, avere sempre una via di uscita, mai confonderti con i nemici. Se non puoi stare lì per rompere o causare instabilità, non devi stare lì. Perché non solo ci sono diversi modi di morire, ed è totalmente diverso farlo combattendo o capitolando.Ma perché c’è anche un modo di vivere: che è quello di non giocarsi subito il tutto per tutto, ma saggiare il nemico, ritirarsi, consolidarsi, provare ancora una sortita. Dobbiamo avere più pazienza dei nostri nemici. O meglio: imparare a fare buon uso della nostra impazienza.
