RENZI, IL NUOVISTA ARCAICO

RENZI, IL NUOVISTA ARCAICO

IN UN tempo in cui le campane  suonano a morto per i partiti, la  giornata di ieri ha rivelato che,  almeno il Pd, è vivo e lotta fra noi.  Sono state organizzate due assemblee,  una a Roma e l’altra a Firenze,  ricche di energie democratiche.  Nella Capitale si sono riuniti  oltre 6000 segretari di circolo. Un terzo aveva fra i 20 e i 30 anni, un mondo  di volontariato civile in rappresentanza  degli oltre 600mila iscritti. A Firenze è stata  la giornata di Matteo Renzi che ha raccolto  un migliaio di amministratori, per lo più giovani  e dinamici. In tanti pensavano che il sindaco di  Firenze avrebbe colto l’occasione per annunciare la  sua candidatura alle primarie, ma sembra che l’appuntamento  sia di nuovo rinviato. In verità, l’argomento  utilizzato da Renzi è apparso debole perché  tutto formalistico, avendo egli sostenuto di voler conoscere,  prima di candidarsi, le regole delle primarie,  come se esistessero norme che possono di per sé  farlo vincere, a prescindere dai contenuti politici  della sua sfida.  In realtà, nonostante i filmati di Mary Poppins, le  foto con la polaroid e l’abbronzatura salutista, la  proposta di Renzi stenta a decollare, a causa di tre limiti  che egli potrebbe ancora riuscire a correggere.  Il primo è l’assenza di una lettura critica della lunga  stagione berlusconiana. Su questo punto la sua analisi  è elusiva o culturalmente subalterna, nel solco di  una stessa traccia populistica e personalistica. Non  a casol’Espressoha pubblicato un dossier che lo indica  come possibile leader della destra. Il sindaco di  Firenze ha smentito vigorosamente, ma dovrebbe  interrogarsi su come sia stato solo possibile concepire  nell’entourage vicino a Berlusconi una proposta  così offensiva.A questo proposito certo non è  aiutato dall’avere a fianco una raffinata testa d’uovo  del berlusconismo degli anni ruggenti come  Giorgio Gori. Sullo sfondo di quest’opzione c’è il  convincimento che, dopo il Cavaliere, la nuova offerta  politica dovrà avere necessariamente dei contenuti  populistici e plebiscitari non alternativi.È  un’analisi rispettabile, ma che non tiene conto dei  danni che quell’esperienza politica ha comportato  per il tessuto civile di questo Paese e del travisamento  della realtà prodotto, i cui costi saremo costretti  a pagare a lungo.  Il secondo limite è quello di fondare la propria  identità politica contro il suo partito. Renzi non parla  quasi mai degli avversari (Berlusconi, la Lega,  Grillo, la destra), ma si scaglia soltanto contro il Pd e  la sua classe dirigente, essendo consapevole che  quella è l’unica ragione per cui è ascoltato. Così facendo  si propone di raccogliere il risentimento antipartito  e di volgere a suo favore il vento dell’antipolitica,  ma ha difficoltà a elaborare un pensiero  propositivo che possa consentirgli di entrare in connessione  sentimentale con l’elettorato progressi- sta. Il problema è serio e sbaglierebbe se continuasse  a sottovalutarlo. Egli comunica di continuo l’impressione  di trovarsi nella parte sbagliata del campo  e, se fa bene a ricordare che non è un delitto piacere  alla destra, dovrebbe però porsi il problema di piacere,  almeno un po’, anche al centrosinistra.  Al contrario, su alcune questioni la dissonanza è  clamorosa. Ad esempio, durante le laceranti discussioni  relative alla riforma dell’articolo 18, nelle stesse  ore in cui Bersani era impegnato in una battaglia  in cui stava difendendo le ragioni costitutive del Pd,  l’ultima cosa che un aspirante leader progressista  avrebbe dovuto dire è «che dell’art. 18 non me ne po’  frega’ de meno». La sensazione è che il sindaco di Firenze  si stia servendo del Pd per provare un’operazione  di sfondamento a destra di carattere presidenzialista,  mescolando i voti di entrambi gli schieramenti,  qualcosa di simile (si parva licet) a quanto  tentò di fare nel 1974 un altro toscano come Fanfani  in occasione del referendum sul divorzio. Una  strategia ambiziosa, ma che dovrebbe indurlo a  candidarsi direttamente come premier, senza passare  attraverso la strada delle primarie. Forse il suo  attuale esitare scaturisce proprio dalla presenza di  quest’allettante possibilità.  Il terzo limite si chiama nuovismo, ossia l’esaltazione  acritica del cambiamento in quanto tale. Ma  dietro l’immagine guascona si assiste al restauro di  una patina collegata agli anni Ottanta che viene furbescamente  presentata come nuova e originale. Il  sindaco di Firenze parla sempre di futuro, ma lo fa  in modo archeologico, usando la carta giovanilistica  dello scontro generazionale per coprire il tratto  moderato del proprio progetto, che ha una chiara  impronta craxiana, di cui Berlusconi è stato l’originale  erede. Renzi ha indubbie qualità politiche corsare  che si basano sul potere di interdizione e di ricatto  e, con questo suo modo di fare, sembra il figlio  ideale di Ghino di Tacco.  Nonostante simili limiti politici, che spetta a Renzi  impegnarsi a migliorare se li riterrà tali, sale dall’assemblea  fiorentina una voglia di cambiamento e  un nucleo di modernizzazione che è parte integrante  del tessuto del Pd e che Bersani farebbe bene ad  ascoltare. La sfida, dunque, è quella di riuscire a connettere  le energie dell’assemblea di Roma con quelle  di Firenze, senza viverle come alternative. L’errore  più grave sarebbe avvitarsi in una discussione sulle  primarie, tra colpi bassi e scontri personali, che finirebbero  per favorire l’eventuale sfidante, trascurando  l’Italia e la sua crescente mancanza di lavoro,  di uguaglianza sociale e di fiducia in se stessa.