L’AUTONOMIA REGIONALE È LA FINE DELL’ITALIA LA SECESSIONE DEI “PRIMA I RICCHI”

L’AUTONOMIA REGIONALE È LA FINE DELL’ITALIA LA SECESSIONE DEI “PRIMA I RICCHI”

Chiedo scusa se torno a scrivere su questo argomento, ma è talmente grave e tralasciato dai media e dala sinistra, che non posso riparlarne. Venerdì 15 febbraio il governò firmerà l’intesa per la cosiddetta ‘Autonomia differenziata’ di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. Si tratta di una devolution quasi riguardante tutti i settori, in pratica una secessione contrabbandata come maggiore autonomia. Nessun dibattito pubblico su questo accordo privato Stato-Regioni. Solo il Veneto ha svolto dibattiti e informato sulla portata, tecnica e politica che del resto è sempre stato il cavallo di battaglia della Lega di Bossi. D’altronde l’intesa siglata fra la ministra per gli Affari Regionali e le Autonomie, la leghista Erika Stefani, e i governatori di Lombardia, Veneto ed Emilia, è tutt’ora segreta. (!!!) E…attenzione, una volta firmata il 15 febbraio, il documento andrà in parlamento. Ma non potrà essere discussa, emendata: solo approvata o respinta, a maggioranza assoluta.E se passerà, non potrà più essere modificata in alcun modo, neppure attraverso referendum abrogativo, per dieci anni. La ministra leghista Stefani parla di vera e propria rivoluzione. E ha ragione. La Lega, l’unico vero partito gramsciano rimasto, con tanto di intellettuali organici, una strategia lucidamente perseguita e una visione ideologia complessiva, sta per riuscire ad ottenere l’obiettivo per cui è nata: separare il Nord dal resto d’Italia. Non si tratta di federalismo; ma, questa volta, con indubbia intelligenza politica, di secessione mascherata da autonomia. Nell’intesa, Veneto e Lombardia (e, solo in un secondo tempo, Emilia Romagna) chiedono infatti l’attribuzione di 23 aree di competenza su 23, vale a dire su tutte quelle previste dall’articolo 117 della Costituzione. Ed altre regioni del nord hanno già fatto richiesta. Una devoluzione totale di potestà, compreso fisco, demanio e istruzione. Le questioni centrali sono due. La prima è ovviamente legata alle risorse finanziarie. L’obiettivo ultimo è quello di trattenere sul territorio i 9/10 del gettito fiscale. Il tutto mascherato da una procedura tecnica: da ora in avanti, infatti, per gestire le risorse che le Regioni potranno trattenere, verranno stabiliti dei bisogni standard parametrati sul gettito fiscale. L’idea è semplice: se un territorio è più ricco ha diritto ad avere più servizi e di miglior qualità. In questo modo si fa tranquillamente passare il concetto che i diritti di cittadinanza “a cominciare da istruzione e salute, possono essere diversi fra i cittadini italiani; maggiori dove il reddito pro-capite è più alto”. La seconda questione è però ancora più spinosa: l’istruzione. Qui, duole dirlo, si vede all’opera l’intelligenza politica di questa classe dirigente leghista, per quanto oscena, non improvvisata. Sono i 5 stelle che non hanno ideologia, la Lega ce l’ha e mai abbandonata, perseguita cambiando modi e strumenti. È sempre la vecchia battaglia per l’egemonia. Si vuole una scuola regionale, con insegnanti dipendenti dalle Regioni e assunti secondo criteri discrezionali stabiliti dalle stesse. Fra cui, anzitutto, la residenza. Ma è solo il punto di partenza; la volontà politica è quella di intervenire direttamente sui curricula. Ci sarà poco da stupirsi, se fra qualche anno, il dialetto veneto o lombardo diventeranno materia di studio nelle scuole di istruzione primaria regionali. L’avvio di questa trattativa “segreta” fra Stato e Regioni si deve al bellunese Gianclaudio Bressa: il 28 febbraio del 2018, in qualità di sottosegretario di Stato dell’ultimo governo Gentiloni, concluse con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna un’intesa preliminare. E così, mentre Renzi aveva avanzato, nel suo progetto di riforma costituzionale, un’ipotesi di ristrutturazione dello Stato, con una nuova centralizzazione delle competenze strategiche affiancata da un federalismo regionale equilibrato, che va detto: era l’unico aspetto di valore della riforma, per il resto pessima ; il governo Gentiloni fa la mossa esattamente opposta, aprendo alla possibilità di una concreta disgregazione dello Stato, di una devoluzione pressoché totale che fu sempre osteggiata perfino da Berlusconi. Forse la lunghissima transizione italiana è arrivata al suo compimento. In silenzio, e quasi di nascosto, il 15 febbraio 2019 potrebbe diventare una data storica. La data in cui uno Stato, l’Italia, muore. Che fare ora? Temo più nulla. Io continuo a leggere i capetti di sinistra che se le danno di Santa ragione, i 5 stelle non sono nemmeno in grado di capire che succede. Bonaccini, governatore della mia regione, PD, Emilia Romagna: mi fai vergognare di essere emiliana. Fonti :Enrico Viesti-pamphlet ‘Verso la secessione’Striscia rossa: SecessioneArchivio Gazzetta di VeronaWeb:riunioni Bressa-governatoriBlog Officina dei Saperi