ARGENTINA: CON IL GOVERNO LIBERISTA DI MACRI, CROLLANO I CONSUMI
“Bene, è arrivato il momento di annunciare che La Gradisca ha chiuso… Non c’è nulla che possiamo dire, che le persone che sono passate di qui non sappiano o non abbiamo vissuto. Siamo stati felici, siamo stati noi, tutti siamo cresciuti come non mai. Questo lo porteremo sempre con noi. Evviva i progetti che nascono e restano nel cuore! Arrivederci amici, grazie di tutto. Grazie, di tutto cuore”.È l’annuncio, via Facebook, della chiusura di La Gradisca, caffè e libreria cinefila nel barrio porteño di San Telmo, che il sabato pomeriggio ospitava da anni un cineforum di film italiani. Dai classici del neorealismo a Sergio Leone, l’immancabile Nanni Moretti, con qualche incursione in produzioni meno scontate, come quel piccolo gioiello che è “La pivellina”, film italo-austriaco che rappresentò l’Austria agli Oscar nel 2011 e che da noi fu praticamente ignorato.Chiude La Gradisca, malgrado al cineforum del sabato fosse necessario arrivare due ore prima per sperare di entrare, perché non ce la fa più a pagare le bollette di luce e gas, dopo l’ennesimo rincaro.Chiudono i teatri, che ammaliano i turisti con la qualità della movida culturale. Chiudono le milongas, dove si balla il tango. Chiudono i ristoranti, chiudono le librerie, nella città che – di librerie – ha la maggiore densità al mondo: una ogni 100mila abitanti. Soffrono per l’aumento delle bollette, ma anche delle spese condominiali, degli affitti.Dal 2018, poi, secondo quanto annunciato dal governo, i prezzi del carburante saranno totalmente liberalizzati, con un ulteriore aumento generalizzato dei costi di produzione e quindi dei prezzi. Fatto sta che nel 2016 i consumi hanno raggiunto il livello più basso degli ultimi dieci anni, con un calo del 4,7 per cento nelle vendite dei beni di prima necessità. La caduta libera è continuata nei primi sette mesi del 2017, con una contrazione del 2,2 per cento, mentre a luglio la produzione delle piccole e medie imprese ha dato lievi segnali di ripresa, chiudendo il mese con una crescita dello 0,6 per cento. Nel frattempo il tasso di disoccupazione è salito al 9,2 per cento, contro il 7,6 del 2016.“Il potere acquisitivo della società nel suo complesso è diminuito”, dice Ramón Tarruella, proprietario del marchio Mil Botellas, della Plata, in provincia di Buenos Aires, una delle 400 case editrici indipendenti argentine, che finora hanno mantenuto vivo il settore, organizzando fiere, eventi nei bar, jam session di poesia, festival. “È evidente che, in periodi come questo, la prima cosa che fa la gente è tagliare i consumi culturali: va meno a teatro, al cinema, compra meno libri. Lo notiamo dalla quantità di librerie, anche storiche, che hanno dovuto chiudere. Per noi sono aumentati i costi di stampa. È una combinazione negativa di fattori. Pubblicare un libro è diventato più caro. E venderlo, a un prezzo più caro, è un rischio, soprattutto per un marchio indipendente che non ha accesso alla pubblicità e alle recensioni sui giornali, come le grandi case editrici”.È cambiata anche l’offerta di cultura da parte dello Stato. Se anni fa il ministro Tremonti sosteneva in parlamento che “con la cultura non si mangia”, i governi neoliberisti del Sudamerica hanno invece capito che la cultura può essere un affare. Basta trasformarla in una merce come tutte le altre e darle un prezzo.È accaduto al cinema Gaumont (di proprietà dell’Incaa, l’istituto nazionale del cinema), in pieno centro, che presenta film prodotti in Argentina e ospita il Festival del cinema dei diritti umani. Il biglietto, lo scorso anno, è stato triplicato da un giorno all’altro. Resta una cifra modesta, ma colpisce la mancanza di gradualità di ogni provvedimento che abbia un impatto sulle finanze dei cittadini.“Il dialogo dello Stato con gli editori indipendenti si è interrotto”, continua Tarruella. “Tutti i provvedimenti presi finora hanno portato benefici solo ai grandi gruppi. A cominciare dall’abbattimento dei dazi sui libri importati, che negli anni scorsi avevano permesso la crescita di un mercato editoriale interno. Sono finiti i sussidi e le politiche a sostegno delle realtà minori”. Non è un reclamo per l’assistenzialismo, ma per politiche di stato che intervengano a equilibrare la disparità del mercato e sostengano l’occupazione di un settore importante.Un tema non solo economico, ma anche culturale. I libri importati dall’estero non sono scritti nella varietà rioplatense dello spagnolo (per capirci, quella parlata a Buenos Aires e in Uruguay) e impoveriscono la biodiversità linguistica del mondo latino.Nel frattempo la Direzione generale per lo Sport sociale e lo sviluppo sportivo del Governo della città di Buenos Aires ha annunciato l’interruzione, per un taglio ai fondi, dei “Juegos Porteños”, una manifestazione simile ai nostri Giochi della Gioventù, iniziata a giugno, che avrebbe dovuto terminare il mese prossimo.Continua con un’offerta totalmente gratuita il Centro Cultural de la Memoria H. Conti, creato a poca distanza dall’Esma, il lager di detenzione clandestina degli anni della dittatura. Ospita un cinema, un teatro, un centro di documentazione, una caffetteria, spazi espositivi e l’immancabile libreria. Il problema, semmai, è il taglio alle risorse, che obbliga a chiedere agli artisti coinvolti nelle diverse iniziative di prestare la propria opera gratuitamente, con il rischio di un impoverimento dell’offerta e una caduta della qualità.Non se la passano bene i centri culturali. “Ormai tiriamo avanti perché ci autotassiamo per pagare l’affitto”, dice Raquel Masci, artista e responsabile del centro culturale Casa Doblas, sempre a Buenos Aires. “La maggior fonte di guadagno per un centro culturale è il bar”. Le iniziative, infatti, sono per lo più gratuite o a offerta libera. “Siamo tutti nelle stesse condizioni, realtà piccole e grandi”, continua Masci. “Le spese aumentano, abbiamo meno pubblico… Chi viene, spende sempre meno al bar. Stiamo chiedendo alla Legislatura della città una legge a sostegno dei centri culturali”. Nel frattempo si sopravvive grazie alla solidarietà degli amici, organizzando mercatini dell’usato o cercando sussidi nelle pieghe del sistema.“Un altro problema importante è l’abilitazione richiesta per aprire al pubblico”, spiega Raquel. “Serve un architetto, un notaio, la presentazione della domanda è a pagamento”. Spese che gravano prima ancora di aprire. La procedura burocratica è lenta, molti iniziano a lavorare con la domanda ancora in sospeso e con il rischio che un’ispezione trovi qualcosa fuori posto e chiuda il locale per mesi.Eppure, come spesso è accaduto nella storia argentina, le avversità producono effetti inaspettati. “È aumentata la convivenza tra editori indipendenti in occasione di fiere e altre manifestazioni”, dice Tarruella. “Fu proprio durante la crisi del 2001 che nacquero nuove imprese legate al libro, molte delle quali sono ancora in attività. È possibile che questa nuova congiuntura produca qualcosa di simile. Il problema è capire come attraverseremo questo momento, chi resterà in piedi”. Questa è una storia ancora tutta da scrivere.
