DOMENICA AD ASSISI, “SANTUARIO DEL BENE”, IN CAMMINO NEL NOME DELLA PACE

Eccoci nuovamente, pronti ad incamminarci, verso Assisi, uno dei “santuari” del bene che ancora costellano il mondo e contaminano una comunità che all’apparenza pare abbruttita dai peggiori egoismi. Calpesteremo quelle strade che conducono verso Assisi. Lo faremo con il passo forse stanco ma mai incerto. Con la stessa gioia ed impazienza della prima volta. Lo faremo al nostro tempo, allo stesso modo in cui dovremmo andare verso altri luoghi toccati, contaminati, dal bene. Procederemo, insieme, come potremmo farlo verso Riace, verso Pozzallo, verso Lampedusa, ma anche verso Ventimiglia, verso Vicofaro. Verso le periferie più degradate delle nostre grandi città. Lo faremo ripercorrendo i passi del fraticello di Assisi, di colui che volle dedicarsi tutto agli ultimi degli ultimi, non certo annullandosi ma elevandosi a loro. È così che avanzeremo da ogni parte d’Italia, con il sorriso di chi non teme le paure costruite a tavolino. La scorsa edizione, due anni fa, Padre Enzo Fortunato, del Sacro Convento di Assisi, ebbe a definire la Perugia Assisi: “Un fiume umano di pace che inquieta e orienta la storia”. Allora furono in centomila ad impegnarsi nella costruzione di questo cammino fatto di interiorità ancor prima che di passi. Tutti insegnanti ed allievi al tempo stesso di una lezione che genera frutti inaspettati e generosi. Lo faremo ripetendoci all’infinito le parole di don Ciotti che nella XXII Marcia ci ricordò che la pace ha bisogno di ciascuno di noi perché: “Se c’ è una malattia veramente mortale, anche rispetto ai problemi di casa nostra, credo sia la rassegnazione, la delega e l’indifferenza. Non basta commuoverci ma bisogna muoverci di più tutti. Abbiamo troppi cittadini a intermittenza nel nostro Paese mentre dobbiamo essere più responsabili”. Ecco così che cercheremo di scavare in quello spirito dei costruttori di pace iniziato da Aldo Capitini in quel lontano ’61, quando prese il via la prima lontana Marcia. Ed anche questa volta un popolo variegato, multicolore ed è bene ribadirlo gioioso, raccoglierà questa sorta di dichiarazione di guerra nei confronti di quelle “indifferenze” che sembrano pervadere ogni istante della vita. Il documento di presentazione della Marcia, organizzata dalla Tavola per la Pace, rafforza questi sentimenti, ricorda che oggi: “Disponiamo di più ricchezze, conoscenze, istituzioni e mezzi di ogni altro tempo ma permettiamo che di giorno in giorno aumentino le disuguaglianze, le sofferenze, i conflitti, la disoccupazione e l’insicurezza di miliardi di persone. Non troviamo i soldi per assicurare un lavoro a tutti ma continuiamo a spenderne una valanga per comprare armi, ingigantire eserciti e condurre guerre infinite. I numerosi progressi che abbiamo ottenuto in tanti campi ci aprono orizzonti impensati per migliorare le condizioni di vita di tutti e portare la pace laddove ancora non c’è. Eppure rischiamo di essere travolti da numerosi problemi che abbiamo causato e che non abbiamo ancora risolto: dalla povertà di miliardi di persone al cambiamento climatico, dalle guerre alle migrazioni”. Dunque, la prossima domenica 7 ottobre, prepariamoci ad uno sforzo gioioso, camminando insieme sulla strada che rigenera fiducia, speranza e volontà di cambiamento proprio settant’anni dalla firma della Dichiarazione Universale dei diritti umani, a cento anni dalla fine della prima guerra mondiale, a cinquant’anni dalla scomparsa di Aldo Capitini.Non certo per compiere il “rito” della Marcia ma per percorrere “un altro piccolo tratto della lunga marcia della pace e della fraternità che ci vede impegnati tutti i giorni”, cominciando a farlo, immediatamente dopo, dai luoghi in cui viviamo. Alla ricerca della cura reciproca.