FAMIGLIE PER OBBLIGO

FAMIGLIE PER OBBLIGO

Con il pretesto dei diritti dei minori e dei padri separati il disegno di legge Pillon mette all’indice le donne che vogliono uscire da relazioni violente, incrementa il conflitto, allunga i tempi di separazione, nega le disparità economiche tra i coniugi I bambini. I figli di separati. L’affido condiviso. Temi delicatissimi che attraversano le coscienze di tanti, la vita di tanti. Temi sui quali interviene con l’accetta il “ddl Pillon”, un disegno di legge che prende il nome dal parlamentare leghista che lo ha presentato, e che senza mezzi termini viene considerato un testo che ci fa precipitare nel passato e che non tutela i minori. E anche nei casi meno gravi (cioè dove non ci sono problemi di violenza) mette un mucchio di zeppe alla possibilità di una coppia “scoppiata”, o esausta, di separarsi, a partire dall’obbligo di una “mediazione familiare” a pagamento. Famiglie per forza. Le separazioni in Italia sono molte, più di 70mila all’anno, e coinvolgono 66mila minori. “La separazione è sempre un momento critico” afferma la direttrice Istat Linda Laura Sabbadini, specificando il dato più grave, cioè che “il 51% delle separate ha subito violenza dal partner”. C’è un fronte di donne e di uomini che si sta muovendo in tutto il Paese e che denuncia che con queste norme vengono “attaccati diritti civili fondamentali, perché il disegno di legge incide pesantemente sulla vita e sulle emozioni dei minori, mette a rischio le donne che vogliono uscire da relazioni violente, incrementa il conflitto e allunga i tempi di separazione dei coniugi, non considera le disparità economiche ancora presenti tra i generi in Italia e costituisce una pesante ingerenza dello Stato nelle scelte di vita delle persone”. Ci sono assemblee di donne e di uomini che chiedono il ritiro del disegno di legge, considerato “inemendabile”, ci sono raccolte di firme, a Milano è nato il comitato “NoPillon” che martedì ha tenuto la sua prima riunione alla Camera del lavoro del capoluogo lombardo. A muoversi a favore di questo decreto è stata la lobby dei “padri separati”, che conta su adesioni potenti e testimonial famosi come l’attivissimo Tiberio Timperi, che è riuscita a far passare nel senso comune il fatto che un uomo separato va in rovina. La realtà dei numeri non racconta la stessa storia, pur con tutte le eccezioni e i casi particolari e dolorosi che ci possono essere: dopo la separazione, infatti, la situazione economica peggiora per entrambi i coniugi, ma le donne – che partono mediamente da una situazione economica più svantaggiata – risentono maggiormente l’impoverimento. Il 40% delle donne che si separano, dati Istat alla mano, non ha un lavoro fuori casa e il rimanente 60% ha lavori più precari rispetto all’ex marito e, un’alta percentuale,  lavora part time. Cosa prevede il disegno di legge? Che i bambini, come pacchi postali, debbano vivere almeno 12 giorni al mese a casa dell’uno e dell’altro ex coniuge, e avranno due domicili. Per questo viene abolito l’assegno di mantenimento (e non importa se il bambino cambierà tenore di vita nel passaggio da un genitore all’altro): oggi nel 71% delle separazioni è previsto l’assegno di mantenimento per i figli, nel 20% anche per l’altro coniuge. Se poi il bambino si rifiuta di vedere il padre, sarà incolpata la madre: come se per un bimbo che ha visto picchiare la mamma – o è stato picchiato – fosse facile adattarsi a vivere con il genitore violento. Pillon, di fronte alle critiche, controreplica: i genitori che verranno condannati per violenza non avranno affido condiviso. Come se non servissero tre gradi di giudizio, mentre i figli crescono… Questa legge, chiosa Sabbadini, “ci riporta indietro di più di 50 anni e non tutela i bambini. E non prende atto del fatto che ogni separazione è storia a sé”.