LA BIALETTI NEL BARATRO, UN ALTRO PEZZO DELLA NOSTRA STORIA VERSO LA CHIUSURA
C’è questa foto di scena del film “La Banda degli onesti”, siamo a metà degli anni 50: ci sono Totò e Peppino de Filippo davanti ad una tazzina di caffè con i cappotti invernali ed in testa un Borsalino. E’ la scena dove il portiere Totò, entrato in possesso del clichè per stampare banconote, fa la proposta “oscena” al tipografo Lo Turco, cioè De Filippo. Ecco, in quell’immagine c’è racchiusa l’Italia: la bevanda principe (il caffè), lo stile anche nell’abbigliamento povero (il Borsalino), e il primo problema nazionale (i soldi). E le tre cose tornano assieme anche nelle cronache di questa parte iniziale di nuovo millennio: poco meno di un anno fa scrivevamo della crisi semi definitiva della Borsalino, alle prese con un buco di qualche milioncino di euro. Beh, robetta al confronto di quello che sta capitando alla Bialetti. La storica azienda piemontese produttrice della moka. La “macchinetta per il caffè” per definizione, se la deve vedere infatti con una simpatica voragine di 68 milioni di euro. Roba che nemmeno sulla via Appia a Roma, dove pure sono diventati espertissimi in voragini, avevano mai sentito. Peraltro la Bialetti non era più sotto il controllo della famiglia che le aveva dato il nome già da molti anni, quindi la colpa del disastro non si può addossare “all’omino coi baffi”. Già perché il celeberrimo personaggio degli spot pubblicitari di Carosello e dintorni non era altro che la caricatura del patron Renato Bialetti, figlio del fondatore Alfonso, disegnata dalla mano fatata di Paolo Campani. E qui però bisogna aprire uno spin-off: “Paul” Campani è stato uno di quei geniacci praticamente sconosciuti alle masse, ma sulla cui vita forse in America un film lo potrebbero fare davvero. Un disegnatore di quelli bravi, o meglio prodigiosi per chi non ha quel tipo di dono naturale e guarda da fuori, che nel 1946 (dicasi 1946, cioè con le rovine ancora fumanti per il conflitto) aprì una casa di produzione di cartoni animati. In Italia! Insomma un’impresa tipo “passaggio a nord ovest”, portata avanti però con un misto di talento e perseveranza che portò, nel periodo del boom economico, ad arrivare ad avere più di un centinaio di dipendenti. E a sfornare un cartone al giorno da passare su Carosello. Già, Carosello, la trasmissione per cui l’aggettivo “mitica” fa l’effetto dell’acqua fresca. Più che una trasmissione un’istituzione. Una piacevole abitudine da vivere in famiglia. A pensare a come viene percepita adesso la pubblicità che ti interrompe un film o una partita (il mai troppo maledetto “superspot”…) sembra di parlare del mesozoico. Ed in effetti uno spot allora durava circa due minuti però il messaggio pubblicitario era ridotto agli ultimi 15-20 secondi. Qualcosa che già all’epoca faceva gridare di dolore i pubblicitari a stelle e strisce. Poi chissà se i bambini andavano davvero a letto “dopo Carosello” come vuole la leggenda (cioè verso le nove, un orario dove se adesso provi a mandare a letto un bambino quello ti fa subito un video che mette su snapchat e dopo un’ora ti trovi sotto casa i caschi blu dell’Onu), però dentro ci trovavi davvero dei piccoli-grandi capolavori. Come appunto l’omino Bialetti, che aveva la bocca che cambiava la sua forma a seconda della lettera che stava pronunciando. E che pubblicizzava un oggetto, la moka appunto, che in casa avevano proprio tutti. Anzi, hanno. Eh sì perché secondo uno studio, ancora adesso, nel 90% delle case italiane è presente la macchinetta per il caffè. E allora come si spiega la “fossa delle Marianne” di debiti in cui è finita l’azienda originaria del novarese? Certo c’è stata l’ondata delle cialde, delle capsule, delle macchine simil bar, però la motivazione ci convince poco. Insomma, diciamocelo, per noi italiani medi “ti faccio un caffè” vuol dire mettere l’acqua fino alla valvola e poi la polvere nella macchinetta. E nel frattempo si parla, ci si guarda, magari ci si bacia (capita capita…) aspettando che quella borbotti avvertendoti che ha fatto per la milionesima volta il suo dovere. Ecco, potrebbe essere questa invece una motivazione valida: cioè che le macchinette sono soldatini che vanno avanti indefesse negli anni, a volte nei lustri. E questo nell’epoca dove, tanto per dirne una, i cellulari sono costruiti con lo scopo preciso di rompersi al massimo dopo due anni è una cosa che probabilmente fa andare in palla qualunque bilancio. Ovviamente non sarà così e dietro ci saranno invece più probabilmente i soliti “magheggi” della finanza creativa. Però come si diceva in questo non dovrebbe proprio entrare Renato Bialetti, e noi ne siamo veramente fieri. Perché un uomo che come ultimo desiderio chiese di essere cremato e che le sue ceneri venissero messe in una moka da 18 tazze (e si trovano in rete le immagini dei parenti che dopo la funzione vanno a poggiare, commossi, la mano sulla caffettiera come per saggiarne la temperatura) è uno che avrebbe meritato di stare dentro “Amici Miei”, e quindi un essere superiore. Non sarebbe stato accettabile avere dubbi su di lui. Amen.
