PUTIN, UN MODELLO DI SUCCESSO

PUTIN, UN MODELLO DI SUCCESSO

La conferenza stampa di fine d’annoL’unica nota stonata in una conferenza stampa altrimenti festevole e rilassata (e seguita da 1700 giornalisti e nell’arco di 4 ore; roba mica da poco) è stata, non già la minaccia di una terza guerra mondiale (didatticamente evocata ma per essere subito accantonata) ma il duplice riferimento sprezzante nei confronti dell’Europa: pronta a “squittire” quando la Russia prende misure per la propria autodifesa e unita solo dall’avversione per l’orso russo e per chi ne tiene le redini. E, nell’insieme, considerata fattore irrilevante nel quadro internazionale.La premessa di un disegno aggressivo? Questo certamente no; piuttosto la giustificazione di un disegno preciso di separazione e di allontanamento.Di che tipo? E per quali motivi?Per cominciare a capirci qualcosa dobbiamo partire dalla scelta cui le varie classi dirigenti dei vari paesi si affidano per definire, in qualche modo, l’identità della propria nazione: quella della data della festa nazionale.Il problema (così come quello dell’inno…) si pone nella Russia nata dopo la dissoluzione della vecchia Urss. E verrà risolto, anni e anni dopo, in un modo bizzarro e un tantino comico; ma in realtà del tutto funzionale ai disegno putiniano.Scartate le ricorrenze ideologiche, di destra e di sinistra e anche i grandi eventi bellici, si arriva ad un non evento; il ritiro dei polacchi da Mosca, alla fine del periodo dei torbidi (1612/13), in conseguenza del ricompattamento del popolo e della nobiltà russa intorno al capostipite dei Romanov.Il messaggio non potrebbe essere più chiaro: i polacchi di quattro secoli fa sono gli occidentali dell’ultimo decennio del secolo scorso; l’epoca dei torbidi è quella della dissoluzione dell’Unione sovietica (che non è solo un evento politico-territoriale ma coinvolge la privatizzazione fatta ad uso e consumo degli oligarchi, l’immiserimento della popolazione, la corsa all’uscita delle repubbliche dalla federazione, la marginalizzazione internazionale della Russia che l’algido Helmut Schmidt definirà con disprezzo “Alto Volta” – oggi Burkina Faso – con i missili”; i boiari sono la versione primitiva degli occidentalisti; Vladimiro primo è, nel concreto, quello che Michele primo fu solo simbolicamente, il ricostruttore, in ogni campo (ebbene sì) della sovranità interna e internazionale del paese lungo un percorso dettato dalle proprie antiche tradizioni e dai propri attuali interessi.Sulla natura e le tappe – spesso segnate da esibisioni di brutalità – di questo percorso è stato detto tutto quello che c’era da dire.Rimangono, allora, a completare il quadro, una constatazione e un pò di doverosa autocritica.La constatazione è che il progetto putiniano, al di là, lo ripetiamo, di qualsiasi valutazione di merito, è stato coronato da un pieno successo. Perchè la Russia di oggi gode di una consistenza politico-economico-sociale e di una influenza internazionale di gran lunga maggiori non solo rispetto al disastro elltsiniano ma anche in relazione alla Russia sovietica del ventennio precedente la caduta del muro. E perché il percorso è stato accompagnato da un costante consenso popolare.L’autocritica ha invece a che fare con noi. E con la nostra incapacità di influire sui processi in corso derivante dall’incapacità totale di comprenderli. Se oggi la Russia si considera europea ma, nel contempo, non occidentale, è perchè noi stessi l’abbiamo esclusa dall’Europa perchè irrimediabilmente, non occidentale. Al punto di prendere in esame, negli anni immediatmente successivi al 1989, l’entrata nell’Unione di paesi come la Turchia; ma mai la sua. E se oggi, il blocco militare ma anche liberista/tecnocratico e religioso intorno al grande Capo si nutre del mito dell’estraneità minacciosa e ostile dell’Occidente è anche perché di aggressioni e offese di ogni tipo la Russia ne ha subite diverse; e senza che i reponsabili (da Napoleone sino agli esperti del FMI…) ne facessero mai ammenda…Intendiamoci, Putin ha vinto non in nome di un progetto superiore di società ma perchè si è mosso nell’universo della real politik e cioè, tout court, della realtà. E, allora, i casi sono due: o l’Europa ha la forza e la volontà di fare valere di nuovo i suoi ideali; o, in caso contrario, deve imparare a muoversi, accantonando le sue false coscienze, su questo stesso terreno.