RITELLA
L’avevano trovata stesa per terra: tutta aggrippilata, con la faccia della paura. Erano state le galline, con i loro strilli, a richiamare le donne della trasonna. Per tutta la notte s’erano sentiti quei brutti gridi, che poi avevano chiamato altri animali, in altre case, nelle stalle o per la via. Cani, cavalli e ciucci, altre galline, porci, gatti, civette e tutto il resto.Ma la mattina le donne non volevano entrare nella casa di Ritella la maciara. E le galline continuavano a strillare.Finalmente cumma’ Natella si decise e andò a chiamare Rocchino il maniscalco.“Vieni – gli disse – ‘ché dobbiamo aprire la casa della maciara”.Rocchino prese ferri e martello e s’infilò nella trasonna. La porta della maciara si aprì facile, e subito uscirono le galline, spingendosi e mugolando. Tutte le donne erano lì, davanti a quella porta aperta, con i respiri sospesi e gli occhi che cercavano di guardare dentro. Ma a entrare furono solo il maniscalco e cumma’ Natella. Con coraggio e tra i malodori, si spinsero nella casa: girarono intorno al corpo buttato di Ritella, cercando di vedere e non vedere. Non c’era neanche una goccia di sangue, eppure la maciara sembrava morta per una grandissima disgrazia, ammazzata dal dolore.Forse era morta da dentro, pensarono i due.Uscirono da quella casa e chiusero la porta sulle facce smaniose delle donne. Poi Rocchino andò a chiamare le guardie e infine tornò inquieto alla sua bottega.La notte stava per arrivare e cumma’ Natella diceva il rosario vicino ala finestra: ma pensava alla maciara morta.Nella trasonna non c’erano rumori, nessuno passava. Le case erano chiuse. Anche il vento freddo del Vùlture s’era fermato.Prima si sentì una campana piccola, poi un rumore di passi. Le donne spiavano dalle finestre: videro la debole luce di una lanterna che si avvicinava, dietro cui cominciarono pian piano a riconoscere la tonaca e la faccia pallida di don Michele, il prete giovane della chiesa del Carmine. Presero allora gli scialli e i crocifissi e si accodarono al sacerdote, brontolando preghiere lamentose.La campana piccola mandava altri rintocchi, altre donne arrivavano.Ma cumma’Natella non si mosse, restò dietro la finestra con il suo rosario. Solo, alzò più alte le sue preghiere.Il corteo arrivò infine alla casa della maciara. Il prete giovane fece subito il segno della croce, seguito dalle sue fedeli in un frusciare di scialli. Aprì la porta e fece qualche passo dentro la casa. Alcune donne si fecero avanti, sistemandosi dietro la tonaca in una religiosa geometria.C’era ancora malodore, anche se il corpo di Ritella era stato portato via dalle guardie. Don Michele poggiò la lanterna su un tavolo e prese l’aspersorio. E i primi spruzzi di acqua santa raggiunsero gli angoli della casa, mentre il latino del prete giovane si spalmava solenne tra le pareti.Ma all’improvviso un gran caldo circondò il prete giovane. L’acqua santa sfrigolava ed evaporava subito, appena toccava un muro o il pavimento battuto; e più don Michele ne aspergeva, più il calore cresceva e nuvole di vapore spuntavano intorno.Don Michele sudava e sudava, ma alzò coraggiosamente la sua voce in latino, minacciando guai e maledizioni a diavoli e demòni.Però il caldo aumentava. Le poche donne che avevano seguito il prete giovane, tutte accaldate, uscirono spingendosi e mugolando, sventolando gli scialli per farsi aria e cercando sollievo nel freddo della trasonna.In quella fornace don Michele, ormai solo e avvampato, non si muoveva più. L’acqua santa era tutta evaporata e l’aspersorio gli bruciava tra le mani. Dalla lanterna uscirono due graffi di fuoco che subito lo circondarono. Si sentì una gran risata e poi parole stridule in una lingua sconosciuta.Le donne che erano rimaste sulla porta riconobbero la voce cattiva della maciara e scapparono con il segno della croce tra le mani.A don Michele si piegarono le gambe e il cuore gli pompò forte tutto il sangue, e gli venne uno svenimento. Cadde infine a terra con gli occhi chiusi e restò tutto aggrippilato, con la faccia della paura.
