“SULLA MIA PELLE”. SI TORNA A RIFLETTERE, A DISCUTERE, A MANIFESTARE. NELLE PIAZZE

“SULLA MIA PELLE”. SI TORNA A RIFLETTERE, A DISCUTERE, A MANIFESTARE. NELLE PIAZZE

Sembra quasi un’ironia della sorte che proprio in questi giorni si parli dell’avvento di “Maniac”, la nuova serie con Emma Stone che racconta un mondo dove siamo sempre più connessi e sempre più soli. Proprio in questi giorni, dove a far da contraltare alla tendenza che ha certamente generato il lavoro di Cary Fukunaga, si è verificato un fenomeno assai singolare intorno al film su Stefano Cucchi.Ma andiamo con ordine. Era il 29 Agosto e “Sulla mia pelle” veniva presentato per la prima volta al pubblico italiano all’interno della Biennale di Venezia. E – udite udite – con la produzione di Netflix, categoria di film a cui gli operatori del Festival italiano, contrariamente ai più puritani cugini d’Oltralpe, hanno deciso di dare spazio. Sette minuti di applausi sono stati il preludio a quanto sarebbe accaduto successivamente: prime pagine sui giornali, interviste al regista, agli attori; radio, giornali, social network: il tam-tam era ormai avviato e, di lì a pochi giorni, il film è andato in onda sulla piattaforma, parallelamente alla distribuzione nelle sale italiane tramite la Lucky Red. Inutile dire che i cinema che hanno deciso di giocarsi la propria partita al botteghino sfidando il mostro sacro Netflix sono stati pochini: questo ha senz’altro influito sui numeri in modo assoluto, ma se si tiene conto dei risultati relativi, si può tranquillamente parlare anche in questo caso di “boom”. Se infatti, nei calcoli statistici, a quegli zeri che non arrivano neanche a sei, si aggiungono le variabili “abbonati alla piattaforma” ed “esiguo numero di sale”, ecco che quei 244.479 euro incassati solo nei primi cinque giorni assumono un peso completamente diverso. Ma non finisce qui: a quei numeri che regaleranno certamente tanta soddisfazione, e speriamo anche qualcosa in più, a chi ci ha lavorato, vanno aggiunte anche quelle “mila” persone che hanno gremito le piazze di tutta Italia dove “Sulla mia pelle” è stato proiettato gratuitamente. Da Roma a Milano, da Bergamo a Bologna, ma poi anche a Parma, a Brescia, a Senigallia, a Perugia: piazze, università e centri sociali si sono uniti per condividere e restituire alla collettività un omaggio a un giovane che ha sofferto e la cui storia ha toccato il cuore di tutti.“Torneremo comunque a vedere il film al cinema” dichiarano i giovani che hanno aderito all’iniziativa “per non perderci alcun dettaglio, ma anche perché è giusto pagare per un lavoro e una produzione che ha dimostrato tanto coraggio”.E dunque, al di là delle polemiche nate in seguito a questo singolare fenomeno – il direttore della Lucky Red ha rassegnato le dimissioni e il regista Alessio Cremonini ha lanciato svariati twitter di fuoco agli autori dell’iniziativa gratuita nelle piazze – quello che preme fare in questa sede è una riflessione su questa sorta di “ritorno al passato”: erano gli anni 70 quando un film di rilevanza politica rimaneva per più giorni nelle pagine dei giornali e chiamava a raduno le persone nelle piazze e nelle università che ne facevano oggetto di dibattito. Sembra di essere in quell’epoca, eppure siamo nel 2018, l’era in cui le notizie durano il tempo di un tweet e le persone, troppo prese dalle relazioni social (che non vuol dire sociali), non hanno più tempo di radunarsi nelle piazze. E le riflessioni sulla realtà? I dibattiti, le idee, le proposte? Anche quelli avvengono, ma nelle piazze virtuali. E le piazze, quelle vere, sono popolate solo da turisti che si scattano selfie che diventeranno oggetto di autocompiacimento (laddove la ricerca del “like”, invero, fa cadere anche il prefisso “auto” dal termine). Non c’è tempo per incontrarsi, non c’è tempo per discutere. Del resto, laddove consumiamo quotidianamente GIGA, minuti di telefonate e soldi, era inevitabile che la sindrome della paura dello spreco impattasse anche il tempo, con conseguente necessità di impiegarlo nel migliore dei modi accumulando quante più esperienze possibili. E che tutte le occasioni di contemplazione, riflessione e dibattito, che ci lasciano immobili per svariate ore in una piazza, ma che mobilitano i nostri pensieri, diventassero i primi martiri da sacrificare all’altare degli uomini del fare.Ma in una società che ha preso una piega ormai irreversibile, accade un fatto del tutto inaspettato. E, non c’è piattaforma che tenga, quanto accaduto in questi giorni è la riprova che di fronte a un caso che l’intero popolo italiano avverte come una ferita ancora aperta, anche l’ “uomo del fare” che si muove lasciando tutto immobile, si mette da parte per lasciare posto all’ “uomo del pensare”, che si ferma, facendo sì che le cose intorno a lui comincino a mobilitarsi.