UN DISORDINE INTERNAZIONALE SENZA REGOLE E SENZA ACCORDI

UN DISORDINE INTERNAZIONALE SENZA REGOLE E SENZA ACCORDI

Un’epoca di torbidi non si definisce soltanto per il numero e la natura dei conflitti che la percorrono. Ma per l’impossibilità concreta di porvi fine: con la vittoria di una delle parti, o con qualche accordo tra le medesime. Un’epoca senza regole e senza accordi.Il primo e, soprattutto, il secondo decennio del nostro secolo rispondono pienamente a questa definizione. Da una parte assistiamo a una progressiva estensione delle aree e dei protagonisti del conflitto rispetto all’ultimo decennio del secolo scorso che pur vide contrasti estremamente sanguinosi. Ma, a differenza di quella stagione, segnata da intese di carattere epocale (Palestina, Sud Africa, Irlanda del Nord, disarmo convenzionale e nucleare), oggi tutti gli scontri rimangono aperti; di più si rimettono in discussione o non si applicano gli accordi raggiunti (Iran, Ucraina), per tacere della cancellazione totale di quelli conquistati alla fine del secolo scorso, da quelli di Oslo a quelli in materia di armamenti. Unica eccezione: l’accordo tra Etiopia ed Eritrea.Perché? Le difficoltà oggettive, come sempre, esistono; ma non sono oggettivamente insormontabili. Quella che manca, quella che manca assolutamente, è la volontà politica, nel caso nostro la predisposizione alla trattativa.E questa manca per due ragioni fondamentali: la crisi di uno dei pilastri fondamentali su cui si sarebbe retto, almeno secondo la convinzione di tutti, l’ordine mondiale all’indomani della caduta del Muro di Berlino; e, a seguire, la reazioni degli stati successiva a tale crisi.I guardiani delle regole di un internazionalismo pacificatore e “progressivo”erano, logicamente, i titolari del “soft power”: Onu, Europa, ordinamento liberale e liberista. E sono tutti entrati in crisi nel corso di questi ultimi decenni.Prima, in ordine di tempo, l’Onu, spogliata del suo diritto di intervenire nei conflitti, evitandone la nascita, controllandone il corso o individuando possibili soluzioni. La sua liquidazione è stata segnata da due tappe: il 2003 quando negò a Bush e Blair l’autorizzazione a perseguire l’avventura irachena, salvo a vedere bellamente ignorate, da allora in poi, le sue indicazioni; e, ancora, il 2011, quando autorizzò l’avventura libica, salvo a vederla realizzare con modalità che andavano molto al di là dei paletti che aveva esplicitamente posto. Gli è rimasto il diritto di tribuna; ma nel disinteresse generale.L’Europa, dal canto suo, ha registrato l’autoaffondamento: del suo modello inclusivo, con il blocco pregiudiziale all’entrata della Turchia; del suo ruolo internazionale delegando, di fatto, agli Stati Uniti e alla Nato la gestione della crisi ucraina e, non reagendo in alcun modo alla distruzione dell’accordo sul nucleare e alle sanzioni punitive nei confronti dell’Iran; per vedere, infine, respinta dalla maggioranza potenziale dei suoi cittadini – emarginati e impotenti di fronte alla crisi – la sua politica economica e finanziaria. Il tutto nel contesto della generale rimessa in discussione dell’internazionalismo liberale/liberista e della connessa politica di austerità a senso unico.Ma, e qui sta il passaggio decisivo, questo modello non è stato affatto sconfitto da un modello in qualche modo superiore (anche perché, nel frattempo, quello socialista si era suicidato da solo…) ma dal “principio di realtà” leggi dal ritorno in campo degli stati. Stati le cui classi dirigenti hanno perso, per una serie di ragioni la loro sovranità; e che intendono recuperarla con un sovrappiù non di “sovranismo” (parola passe-partout come “populismo” e quindi priva di significato) ma di puro e semplice nazionalismo. Non è il preludio del fascismo; è la creazione artificiosa dell’unità nazionale contro il nemico esterno (Europa, Germania, Russia, Islam, euro, migranti ce n’è per tutti). Un nemico, ed è questo il punto che ci riguarda, con cui non si possono ipotizzare accordi: perché, con l’accordo, scompare sia il conflitto che il Nemico. Negli Statu Uniti, già garanti di ultima istanza dell’ordine mondiale, tutto ciò viene condotto ai suoi limiti estremi e potenzialmente catastrofici.In un ordine mondiale segnato (come ha detto Trump all’Onu) dal “patriottismo” è escluso qualsiasi riferimento al ruolo di mediazione di organismi internazionali. In un ordine internazionale a somma zero si dovrà combattere con tutti i mezzi la crescita di potenze in grado di contestare l’egemonia americana. E, infine, in un mondo in cui è totalmente uscita di scena la realpolitik kissingeriana, per essere sostituita da quel messianismo moralistico che è nel dna della nazione americana scompare la necessità anzi il dovere di prendere in considerazione il punto di vista dell’Altro che poi è la premessa di qualsiasi accordo.In definitiva un ordine mondiale senza regole condivise ricorda molto quello degli anni Trenta del secolo scorso, alla vigilia della seconda guerra mondiale.Ci si rassicura dicendo che l’Evento è altamente improbabile e che vedremo al suo posto una serie di conflitti, combattuti dovunque e con ogni mezzo. Ma la cosa non ci rassicura poi tanto…