TUTTO QUELLO CHE SERVE ORE PER SALVARE UNA VITA.

TUTTO QUELLO CHE SERVE ORE PER SALVARE UNA VITA.

DI MAURIZIO PATRICIELLOIl mistero è durato solo poche ore. Non è stata la camorra a uccidere Raffaele Perinelli come già fece con suo padre. Era ancora un bambino allora, Lello. Quanta sofferenza nella sua famiglia, quanti lutti, quanta morte. Raffaele è stato ucciso per un banalissimo motivo, una lite tra coetanei avvenuta in discoteca sette giorni prima. Poi l’incontro tra i due nel quartiere. Si discute, ci si anima, si alzano i toni. Si viene alle mani, si perde il controllo. Si impugna il coltello. Già, il coltello. Ma perché Alfredo Galasso gira con il coltello in tasca? Se lo porta addosso è probabile che lo userà, se lo userà è quasi certo che ucciderà. E così è stato. “ Ho rovinato due vite” ha detto agli inquirenti domenica mattina. E invece no, Alfredo, non hai “rovinato” due vite solamente. Tu hai stroncato quella di un giovanissimo essere umano, creato a immagine di Dio. Non ne avevi alcun diritto. Quante volte, in famiglia, a scuola, al catechismo, hai sentito che la vita è sacra, unica, inviolabile? Preziosa. Eterna. E non sai che i cuori stanno a grappoli? Raffaele amava ed era amato. Col tuo folle gesto hai gettato la mamma, la sorella, i parenti, gli amici in un mare di dolore che non sarà facile lenire. Ma non basta, in quest’abisso hai trascinato anche la tua mamma, i tuoi parenti, i tuoi amici, il tuo quartiere. Da oggi anche per loro la vita non sarà più la stessa. Non hai rovinato due vite soltanto, il danno che hai provocato è incalcolabile. Ma perché tanta violenza? Perché tanta immaturità? Tanta cattiveria? Dove hai imparato a usare il coltello? Chi ti ha insegnato a pugnalare al cuore? E adesso vivi immerso in un incubo dal quale vorresti svegliarti. Adesso senti che la presenza di quel giovane che hai odiato e che ti sei illuso di eliminare per sempre, come un fantasma, ti perseguita. La scena di quel delitto l’avrai davanti agli occhi e alla coscienza sempre. Soprattutto di notte, quando il sonno non viene a riposarti, la mente vaga, i ricordi dei giorni vissuti in libertà si fanno prepotenti e ti viene voglia di piangere come quando eri bambino. Non reprimerle, quelle lacrime. Sono preziose e benedette. Non ti vergognare di piangere, di pentirti, di apparire “debole”. Di chiedere perdono. A Raffaele, alla sua e alla tua mamma, ai napoletani, al mondo. A Dio. È il solo modo per tentare una lenta, faticosa, dolorosa riconciliazione con te stesso e la vita. Se sai pregare, prega. Se non lo hai mai fatto, chiedi al cappellano del carcere di farlo per te e con te. Chiedigli di leggerti una pagina di Vangelo. Prega anche per Raffaele. Adesso dovete diventare amici. È importante. Entra in dialogo con lui, raccontargli i tuoi tormenti, le tue speranze, le tue paure. Implora il Signore di custodire nel suo cuore te, lui, i vostri cari. Solo in questo modo potrai spegnere quel fuoco che ti brucia dentro e che rischia di annientarti. La violenza genera solo angoscia, sofferenza, morte. Nessuna gioia, nessuna soddisfazione, nessuna consolazione potrà mai venire dalla violenza, ma solo rovina. Per gli altri, per se stessi, per la società. La sopraffazione, la prepotenza, lo scarso rispetto della vita altrui e propria ruba la dignità, spegne la serenità, imprigiona la libertà. Abbrutisce l’uomo. Dio soffre. Fino alla fine del mondo, Dio soffre. Nel veder sprecati i suoi preziosi doni, Dio soffre. Nel vederti soffrire, Alfredo, Dio soffre. Nel vedere Raffaele morire per una pugnalata al cuore, Dio ha sofferto e soffre. E chiama. Continua a chiamare. Non si stanca di chiamare. Alla conversione. A una vita nuova. A una vita vera. Indietro non si torna. Pentiti. Piangi. Implora perdono. Paga il tuo debito con la giustizia. E abbi il coraggio di gridare al mondo che la violenza è l’arma dei vigliacchi. Che la vera forza è nella capacità di ascolto, di dialogo, di amicizia, di perdono. Anche la Chiesa di Napoli, addolorata e scossa, da questo ulteriore fatto di sangue, prega. Per te. Per Raffaele. Per le vostre famiglie. Per chi ancora non ha imparato ad amare.