CADDERO BARBARAMENTE UCCISI
        9 Gennaio 1950- Modena- Eccidio Fonderie Fondate nel 1938, in pieno fascismo le Fonderie Riunite erano un’azienda di proprietà dell’industriale fascista Adolfo Orsi, il quale possedeva anche la Maserati (la cui produzione fu trasferita da Bologna a Modena nel 1940)Alla fine del 1949 Adolfo Orsi licenziò tutti i suoi 560 dipendenti, al fine di poter riassumere altri operai non iscritti né al sindacato né ai partiti. Il piano industriale di Alfredo Orsi prevedeva inoltre di diminuire i premi di produzione, abolire il Consiglio di gestione, addebitare il costo della mensa nella busta paga degli operai, rimuovere ogni bacheca sindacale o politica all’interno della fabbrica e discriminare le donne (ad esempio, eliminando la stanza dove le operaie potevano allattare i figli che si portavano in fabbrica). Dopo aver sottoposto la fonderia ad una lunga serrata di un mese, i sindacati risposero proclamando uno sciopero generale di tutte le categorie e in tutta la provincia per il 9 gennaio 1950, nonostante gli ostacoli posti dalla prefettura e dalla Questura di Modena, che negarono l’uso di qualsiasi piazza per poter tenere la manifestazione sindacale. Il questore arrivò a minacciare (“vi stermineremo tutti”) la delegazione di parlamentari e dirigenti sindacali che avevano richiesto l’uso della piazza. Di fatto, il giorno prima dello sciopero arrivarono a Modena circa 1.500 poliziotti appartenenti ai distaccamenti III° Mobile di Piacenza, VI° Mobile di Bologna e Ferrara e XX° Mobile di Cesena, per presidiare le Fonderie Riunite con camion, autoblindo T17 Staghound e armamento pesante, appostandosi con le armi anche sui tetti della fabbrica.Verso le dieci del mattino del 9 gennaio una decina di operai giunse ai cancelli delle Fonderie Riunite, le quali erano circondate di carabinieri armati. All’improvviso un carabiniere sparò un colpo di pistola in pieno petto al trentenne Angelo Appiani, che morì sul colpo. Subito dopo, dal tetto della fabbrica i carabinieri aprirono il fuoco con le mitragliatrici verso via Ciro Menotti contro un altro gruppo di lavoratori, che si trovavano al di là del passaggio a livello sbarrato in attesa dell’arrivo di un treno, uccidendo Arturo Chiappelli e Arturo Malagoli e ferendo molte altre persone, alcune in maniera molto grave.Dopo circa trenta minuti, in via Santa Caterina l’operaio Roberto Rovatti, che portava al collo una sciarpa rossa, venne circondato da una squadra di carabinieri, buttato dentro ad un fossato e linciato a morte con i calci dei fucili.Infine, giunse in via Ciro Menotti un blindato T17 che iniziò a sparare sulla folla, uccidendo Ennio Garagnani.Appena appresa la notizia della strage, i sindacalisti della Cgil iniziarono ad avvisare, con gli altoparlanti montati su un’automobile, i manifestanti di spostarsi verso piazza Roma. Renzo Bersani, il quale stava attraversando a piedi l’incrocio posto alla fine di via Menotti, posto a oltre 100 metri dalla fabbrica fu ucciso da un carabiniere. Babbo mi raccontava sempre questa morte. Lui era vicino a Renzo, amico suo. Stavano andando in piazza Roma.6 morti, 200 feriti e 34 arrestati con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale, radunata sediziosa e attentato alle libere istituzioni.L’Unità titola a otto colonne Tutta l’italia si leva contro il nuovo eccidio!: infatti in moltissime città italiane (tra cui Torino, Firenze, Palermo, Venezia, Livorno, Milano, Bari, Alessandria, Genova e Verona) vennero organizzati proteste e scioperi generali per l’intera giornata; a Roma accorsero circa 100.000 manifestanti in piazza SS. Apostoli per il comizio della Cgil La Cisl scelse di non associarsi alle manifestazioni. I morti erano tutti tesserati alla Cgil-FiomLa deputata modenese Gina Borellini espresse la sua indignazione alla Camera dei Deputati con un gesto plateale: con molta difficoltà (in quanto amputata ad una gamba) si alzò dal suo scranno e scese ai banchi del Governo, dove lanciò le foto degli operai morti in faccia al Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi.L’11 gennaio si svolsero a Modena i solenni funerali delle sei vittime dell’eccidio, alla presenza di oltre 300.000 persone.Palmiro Togliatti e Nilde Iotti decisero di adottare Marisa Malagoli, sorella minore di una delle vittime. Racconto ogni anno questo triste anniversario. Il fascismo è anche questo. Padroni, polizia e governi compiacenti. Sindacati silenti. Avanti CGIL, avanti al congresso. Questa è la tua Storia. L’eccidio da parte della polizia chiamata da Orsi, padrone delle Fonderie modenesi, fa parte dei miei ricordi. Non vissuti, ero troppo piccola, ma perché babbo ne parlava spesso e perché sempre, ogni 9 gennaio, noi CGIL eravamo e siamo davanti al cippo delle Fonderie a ricordare. Nel momento in cui CGIL si accinge a riscoprire sé stessa, le sue origini, le lotte e i sacrifici dei lavoratori, e mi auguro a ritessere il rapporto con la realtà, anche eleggendo Maurizio Landini alla segreteria, ho voluto rompere con questo periodo nero, ricordando che cosa vuol dire essere comunisti e socialisti. Ci siamo ancora, non solo noi vecchi, ma tanti che si professano di sinistra, ma che quasi si vergognano di ritrovarsi in un’idea di società antitetica al capitalismo. Cercare ed attuare le idee socialiste e comuniste democraticamente è il compito ineludibile per riscoprire e dare un senso al vivere umano e civile. Non volevano morire questi sei ragazzi, ma sono scesi in sciopero e a manifestare, con la tessera Fiom per il lavoro loro e del futuro.Non limitiamoci a commemorarli.Rendiamo loro gli onori e battiamoci per dignità, lavoro e diritti. Che di doveri abbiamo sempre dato. Angelo Appiani, meccanico ed ex-partigiano, di 30 anni, venne ucciso proprio davanti alle Fonderie; Renzo Bersani un ragazzo di 21 anni, operaio metallurgico, venne colpito a morte in un punto lontanissimo dagli scontri, mentre cercava di fuggire dalla zona; Arturo Chiappelli, spazzino disoccupato, anni 43, venne invece colpito vicino alla Fonderia, dalla parte della linea ferroviaria, mentre attraversava i binari; Ennio Garagnani faceva il carrettiere nelle campagne di Gaggio. Aveva 21 anni. Anche lui trovò la morte mentre cercava di allontanarsi dalla zona calda degli scontri; Arturo Malagoli, 21 anni, operaio ed ex-partigiano, venne colpito davanti al passaggio a livello; Roberto Rovatti, operaio metallurgico di 36 anni, circondato dalla celere, colpito coi calci dei fucili, gettato in un fosso e finito con un colpo sparato a distanza ravvicinata. Quasi duecento feriti.I feriti non andarono all’ospedale per la paura di essere incarcerati e discriminati poi successivamente sul posto di lavoro.
