I MILLE VOLTI DI FAVINO. ECCO CRAXI IN “HAMMAMET”

I MILLE VOLTI DI FAVINO. ECCO CRAXI IN “HAMMAMET”

Sarà Pier Francesco Favino a dare il volto a Bettino Craxi nella nuova pellicola di Gianni Amelio, il cui primo “Ciak” è stato dato Lunedì 18 dal set allestito nella cittadina di Legnano, e dovremo aspettare il 2020 per vederlo nel pieno della sua interpretazione, accontentandoci, nel frattempo, di qualche scatto rubato qua e là e pubblicato in anteprima dall’agenzia di stampa AdnKronos. Scatti che hanno già fatto il giro del web, invero, e che immortalano un Favino che si stenta a riconoscere, perfettamente calato nei panni del suo personaggio. E se i due David di Donatello faranno certamente la loro parte nel rimandarci pensieri, sentimenti e movimenti che determinarono la storia del politico, così come quella dell’Italia, per il momento la maggior parte dei plausi va ad Andrea Lanza, truccatore responsabile del film, e a tutto il suo team: make up artist italiani formati in Inghilterra, che da oltre sei mesi stavano studiando i calchi da applicare al volto dell’attore. 2020, dicevamo. Una data scelta non senza un perché, visto che il prossimo anno si celebrerà anche un ventennio dalla morte del politico, la cui notizia arrivò proprio dalla città tunisina in cui si era rifugiato all’indomani dello scandalo di Tangentopoli, e che oggi dà il nome al lungometraggio a lui dedicato. Una scelta, quella del titolo, che lascia facilmente presagire che il Craxi affrontato da Amelio è quello degli ultimi anni: il Craxi diabetico, il Craxi con un cancro al rene. Il Craxi con la sua storia alle spalle. Un Craxi non politico, bensì privato; un Craxi di cui si cercano di narrare i pensieri dietro alle azioni, i sentimenti dietro ai pensieri. Una lettura certo non convenzionale della storia, ma certamente più profonda. Un Craxi romanzato, a detta del figlio Bobo, che, come dichiara nell’intervista ad AdnKronos, rimane piuttosto scettico sulla possibilità di raccontare una storia complessa come quella del padre in un’ora e mezzo, ma va bene che comunque se ne parli. “Per noi è stato un dramma personale molto grande, e non ci si consola con un’oretta e mezzo di spettacolo. E il dramma è anche dell’Italia, un paese che da allora non si è più ripreso. Mio padre era un ‘eurocritico’ perché dopo Maastricht – spiega – prevalse una visione tecnica ed economica, ma non politica della Costituzione europea. Di qui il suo disamoramento e il suo ammonimento, ma non credo che il film di Amelio parli di questo. Il film sarà una bella storia di avventura umana e politica di un uomo la cui vita vale la pena di raccontare”. Un dramma che colpì la famiglia come l’intera nazione, dunque, e che cambiò il rapporto con la politica nelle sue radici più profonde, soprattutto se si pensa che l’Italia di allora era quella delle monetine gettate davanti all’hotel Raphael, mentre oggi siamo così avvezzi a corruzione e malcostume dei politici da sembrarci quasi una cosa normale. Un trauma, dunque, dal quale non ci si è mai rialzati, e che come gli eventi più scioccanti, nell’impossibilità di essere superato, si è insinuato nelle trame della quotidianità, arrivando a modificare la realtà e la visione delle cose, in una coazione a ripetere che ha visto mazzette, tangenti e scambi di favori estendersi a macchia d’olio, favoriti da una generale disaffezione alla politica e agli ideali, che ha lasciato posto alla spettacolarizzazione e ai grandi slogan urlati come fossero annunci pubblicitari. Certo, tentare di raccontare le origini di tutto questo è un’impresa assai ardua. Ma cominciare a parlarne è certamente un buon punto di partenza.